La fase due annunciata dal governo Monti è concentrata sulla crescita, con diverse misure che riguardano le Pmi italiane: il primo atto è il decreto sulle liberalizzazioni, il secondo riguarda semplificazione burocratica e incentivi alle imprese, passando per le norme di contrasto al ritardo nei pagamenti dalla PA.
Un cammino di nuove riforme che però è accidentato, soprattutto per il decreto liberalizzazioni, con le proteste delle varie categorie che vengono toccate.
Semplificazione burocratica
Ma andiamo con ordine, partendo dalle misure che il Governo prevede per la sburocratizzazione. Gli uffici tecnici dei ministeri economici stanno lavorando a una serie di misure per semplificare tutti i procedimenti burocratici, in linea con quanto previsto dalla direttiva servizi.
L’Europa ha anche recentemente sollecitato il Governo italiano ad applicare in modo più efficace la direttiva servizi, ovvero la norma europea che si propone di semplificare la vita alle imprese europee ad esempio rimuovendo una serie di barriere amministrative.
Il Governo sta pensando all’eliminazione di tutte le procedure di autorizzazione ritenute non necessarie.
Sono poi previsti provvedimenti specifici, come la semplificazione delle norme sui controlli alle imprese.
L’indirizzo è quello di affidare a un unico soggetto le funzioni ispettive che oggi appartengono a diversi Enti e amministrazioni (Inail, Inps, Ispettorato del Lavoro), per evitare controlli ripetuti da parte di più istituzioni.
Di pari passo, si pensa a un coordinamento delle diverse funzioni che permetta, ad esempio, di concentrare verifiche diverse in un unico controllo.
Pagamenti dalla PA
C’è poi una misura che vuole semplificare e velocizzare una serie di procedure e soprattutto contenziosi con la pubblica amministrazione. Il Governo sta pensando di attribuire ai dirigenti della PA alcuni poteri sostitutivi che evitino ricorsi alla magistratura, per esempio in materia di pagamenti.
Quindi, in caso di superamento dei termini di pagamento (una questione, quella dei ritardi nei pagamenti dalla PA, che vede l’Italia maglia nera d’Europa), il fornitore o il cliente potrà rivolgersi direttamente a un dirigente della pubblica amministrazione, il quale avrà il potere di ridefinire i termini per chiudere la pratica.
Incentivi alle imprese
Ci sono anche misure più mirate all‘incentivazione delle imprese. Anche qui, spesso e volentieri si tratta di semplificazioni burocratiche e procedurali, ad esempio eliminando il più possibile i passaggi e i problemi e riducendo le tempistiche per aprire una start-up.
Previste anche misure per facilitare la fusione fra piccole aziende e un drastico intervento semplificatorio sugli incentivi alle imprese: oggi ci sono un centinaio di leggi di incentivazione nazionali, che il governo si propone di ridurre a tre tipologie. La riforma degli incentivi è attesa da un anno.
Insomma, un pacchetto di misure anti-burocrazia, studiate per le imprese (in realtà ci sono provvedimenti analoghi anche per i cittadini, con una serie di semplificazioni burocratiche per i certificati), che sarà con ogni probabilità inserito nel decreto liberalizzazioni previsto entro il 20 gennaio.
Le richieste delle associazioni di categoria
Le misure per lo snellimento burocratico e la crescita delle imprese vengono chieste un po’ da tutte le associazioni di categoria degli imprenditori, che fanno anche proposte specifiche.
Confapi, ad esempio, chiede un credito d’imposta per le Pmi che puntano sulla ricerca. Una sorta di bonus per la ricerca scientifica in house, da articolare a seconda delle dimensioni dell’impresa. La proposta di Confapi è di un credito d’imposta del 30% per le Pmi e del 15% per le grandi imprese. Confapi sottolinea che «le Pmi siano la base dell’economia italiana ed europea» e dal canto suo assicura che «amplificherà gli sforzi per far capire al mondo istituzionale che se la politica economica non va in direzione della piccola e media impresa, semplicemente non va in direzione della ripresa».
Fare impresa in Italia, i dati
Del resto, fare impresa in Italia è difficile, e questo certo non è un buon servizio alla crescita. Secondo l’ultima classifica della Banca Mondiale, contenuta nel report “Doing business in a more transparent World 2012”, su un totale di 183 Paesi del mondo analizzati, l’Italia è all’87esimo posto. A metà classifica, insomma, dietro a quasi tutti i Paesi europei (non i principali partner dell’euro, tutti i Paesi dell’intera Europa: dietro di noi solo la Serbia, 92esima, e la Grecia, al 100esimo posto). L’indicatore peggiore per l’Italia è quello di far rispettare i contratti (siamo 158esimi nel mondo, decisamente in fondo alla classifica), seguito dalle tasse (134esimi) e dall’approvvigionamento di elettricità, 109esimi.
Nella speciale sezione dedicata ad aprire un’impresa, l’Italia si posiziona invece al 77esimo posto (perdendo dieci posizioni rispetto al 2011). Secondo l’Unione Europa, aprire un’impresa nel nostro Paese costa 2mila673 euro, contro una media europea di 399 euro. Cifre ben diverse nel resto d’Europa: in Gran Bretagna bastano 33 euro, in Irlanda 50, in Bulgaria 56, in Spagna 115 euro, in Romania 125, in Germania 176, in Svezia ed Estonia 185 euro, a Malta servono 201 euro, a Cipro 265.