L’Europa sembra intenzionata a puntare sulla Tobin Tax per risolvere la crisi del debito. L‘Italia non ha ancora scoperto completamente le proprie carte sul tema, non in disaccordo ma pur sempre sostenitrice di un provvedimento che andrebbe preso su larga scala.
Il paladino della tassa sulle transazioni finanziarie è il presidente francese Nicolas Sarkozy, il nemico numero uno è invece il premier inglese David Camero. e la Germania sembra in una posizione più vicina a quella francese ma con una linea di maggior prudenza.
Di fatto, una delle critiche di maggior rilievo degli economisti alla Tobin Tax è che, se la applica un solo Paese o una sola area del mondo, rischia di provocare solo una fuga di investimenti verso aree in cui la tassazione è più favorevole.
C’è anche una perplessità che riguarda ancor più da vicino il mondo delle aziende, e nello specifico le Pmi: aumenterebbe il rischio di un ulteriore stretta al credito, in un momento in cui finanziarsi presso il sistema bancario è già abbastanza difficile, soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni.
Tuttavia, ci sono anche economisti ed esperti i quali ritengono che a pagare il prezzo della Tobin Tax sarebbero gli speculatori, mentre il sistema avrebbe un vantaggio dal gettito da impiegare, ad esempio per la crescita.
Tobin Tax europea
Vediamo nel dettaglio come si configura l’ipotesi di Tobin Tax europea e quali sono le possibili ricadute sull’economia in generale e sul mondo delle imprese in particolare.
La Tobin Tax è una tassa finanziaria che il premio Nobel per l’economia, James Tobin, propose negli anni ’70 ma con una serie di caratteristiche molto diverse da quelle su cui si discute oggi: l’idea di Tobin, peraltro mai applicata, riguardava un’imposta limitata alle sole transazioni valutarie. E serviva da una parte a scoraggiare la speculazione valutaria favorendo la stabilità del mercato dei cambi, non più protetto dagli accordi di Bretton Woods, dall’altra a “fare cassa” a spese degli speculatori.
Anche oggi l’idea è quella di raccogliere risorse a spese dell’industria finanziaria. Ma la Tobin Tax di cui si parla in Europa riguarderebbe non le valute, bensì tutte le transazioni finanziarie: azioni, derivati, bond, prodotti finanziari.
In realtà, su questo punto ci sono le prime differenze fra i diversi Paesi europei: anche davanti al deciso “no” di Londra (il governo britannico protegge la City, ovvero la prima industria finanziaria d’Europa), Parigi propone di applicare l’imposta ai soli scambi su azioni (fra l’altro, una tassa simile esiste già anche in Gran Bretagna, sotto forma di imposta di bollo allo 0,5%).
Posizioni sulla Tobin Tax
La Germania di Angela Merkel sembra sostanzialmente d’accordo con la Francia, ma da una parte sembra più tiepida nel sostenere la misura, dall’altra avverte che se non sarà possibile un accordo a 27, se ne può fare uno a 26 (escludendo dunque la Gran Bretagna, sulla linea di quanto successo al vertice di dicembre che ha messo l’impalcatura della nuova governance europea). Per il Governo Monti la Tobin Tax non è mai sembrata una priorità, ma il premier (fra l’altro, allievo di James Tobin a Yale) non esprime nemmeno disaccordo sulla misura.
Il dibattito europeo si svilupperà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane: le date fondamentali saranno probabilmente quelle dei prossimi vertici: l’Eurogruppo del 23 gennaio e il summit Ue di fine mese.
Effetti della Tobin Tax
Ma nel frattempo ci si interroga su quali potrebbero essere gli effetti della Tobin Tax sull’economia. Una tassa sulle transazioni finanziarie, quale che sia la sua formulazione, colpisce in particolare gli investitori “mordi e fuggi”, che fanno operazioni di breve e brevissimo periodo, per speculare sull’andamento del mercato. I “cassettisti”, o in generale gli investitori di lungo periodo, non ne vengono particolarmente toccati (perché fanno poche operazioni).
Dunque, a farne le spese è l‘industria finanziaria, a partire dalle banche. Ma qui ci sono le due obiezioni principali. La prima riguarda la considerazione che l’industria finanziaria è probabilmente uno dei settori economici maggiormente internazionalizzati. Quindi, applicare una tassa finanziaria in un solo Paese, o comunque in un’area geografica limitata, rischia di comportare una fuga degli operatori finanziari verso mercati maggiormente convenienti.
In questo senso, l’opposizione di Londra assume un peso particolare, visto che la City è un centro nevralgico dell’industria finanziaria europea. Vale la pena di sottolineare che Piazza Affari è partner della borsa di Londra, e non è chiaro se e quanto avrebbe da guadagnarci in un contesto di differente regolamentazione fra il mercato inglese e quello italiano (il posizionamento di Piazza Affari all’interno del panorama finanziario europeo è certo un argomento che interessa molto anche le aziende).
La seconda considerazione riguarda ancor più da vicino il mondo dell’industria, ed è relativa al timore che le banche tendano, alla fine, a trasferire il costo della Tobin Tax su prodotti e servizi destinati ai risparmiatori, e anche alle imprese che rischierebbero di pagare, alla fine, il conto.
Se queste sono le principali obiezioni, va detto che ci sono anche le opinioni contrarie: diversi economisti ritengono ad esempio che in realtà il rischio di fuga degli investimenti sarebbe limitato (citando ad esempio proprio la tassa di bollo inglese, formulata in modo tale da non provocare simili effetti). E che in realtà i banchieri cercheranno di trasferire la tassa soprattutto sugli hedge fund e in generale sulla parte più specualtiva dell’industria finanziaria.
Il dibattito è aperto, e riguarda l’efficacia e gli effetti dell’eventuale introduzione della Tobin Tax. Ci sono poi considerazioni più politiche, legate al fatto che i diversi leader europei sentono il peso di non riuscire a risolvere la crisi del debito e cercano forse provvedimenti molto ad effetto, e caricati di molti significati anche ideologici, in vista anche delle rispettive scadenze elettorali nazionali (circostanza che in questi giorni viene riferita spesso e volentieri a Sarkozy, vicino alle presidenziali francesi).
Studi sulla Tobin Tax
Sulle differenti posizioni che ci sono sulla Tobin Tax, vale la pena di citare due studi. Uno della Commissione Europea, secondo cui una tassa finanziaria dello 0,1% su azioni e bond e dello 0,01% sui derivati permetterebbe di avere un gettito di 37 miliardi di euro all’anno. Un’analisi di Ernst&Young, invece, calcolando la migrazione degli scambi e l’impatto sul Pil europeo in modo più severo della Commissione di Bruxelles, stima che dalla Tobin Tax l’Europa ricaverebbe un buco di 116 miliardi (perdita di pil di 128 mld a cui bisogna sottrarre le entrate dle gettito che secondo questo studio sarebbe limitate a 12 mld).