Tecnologia delle reti wireless – I

di Marco Buratto

4 Giugno 2009 09:00

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Come funziona una rete wireless: dalla modulazione agli standard. Prima parte: le modulazioni analogiche e digitali

Il presente articolo, di natura teorica, si prefigge di descrivere, nella massima semplicità e nel contempo completezza, la tecnologia fisica sottesa alle reti senza fili; crediamo ciò sia essenziale per qualunque amministratore di rete che intenda comprendere a fondo gli standard 802.11 e le differenze tra le varie implementazioni, nonché possedere nozioni basilari sulle telecomunicazioni.

A livello fisico, le onde elettromagnetiche che veicolano il segnale WiFi ricadono, in base alla loro frequenza, nelle onde radio (le radioonde hanno frequenze comprese, molto approssimativamente, tra le decine di Mhz e le centinaia di Ghz; quelle usate per le reti wireless lavorano nella banda dei GHz) e vengono irradiate nello spazio per mezzo di antenne o microantenne.

Le onde elettromagnetiche sono un fenomeno ondulatorio generato da perturbazioni di campo elettrico e magnetico; viaggiano nel vuoto alla velocità della luce, 300 mila Km/s, e vengono descritte dalle equazioni di Maxwell.

La modulazione

In ogni sistema di ricetrasmissione a radioonde, il segnale d’informazione viene modulato con un segnale opportuno per essere trasmesso a distanze sufficientemente grandi per lo scopo prefisso e per altre motivazioni che vedremo tra un attimo.

Modulare un segnale contenente un’informazione (segnale modulante) significa "inserire" questo segnale in un altro, detto portante, di modo che le caratteristiche del segnale portante vengano modificate "sulla base del" segnale modulante. Le motivazioni per le quali è necessario modulare un segnale sono riconducibili a tre problematiche fondamentali:

  1. Adattare il segnale al mezzo trasmissivo al fine di riuscire a trasmetterlo (per irradiare il segnale radiotelevisivo a grandi distanze servono, ad esempio, frequenze – e potenze – piuttosto "elevate"),
  2. Trasmettere contemporaneamente più segnali,
  3. Ridurre rumore ed interferenze.

Le modulazioni analogiche

Per fissare il concetto, è utile portare dapprima l’esempio delle modulazioni analogiche di segnali analogici (ad esempio il segnale vocale) ed in seguito descrivere le modulazioni di nostro diretto interesse per la tecnologia delle reti di computer senza fili.

Per trasmettere il segnale analogico di informazione nell’aria (mezzo fisico di nostro attuale interesse) esso dev’essere modulato con un segnale sinusoidale puro a radiofrequenza (segnale portante), di frequenza sempre elevata.

La modulazione di ampiezza, AM (amplitude modulation), la più semplice e la prima ad esser stata utilizzata, prevede che l’ampiezza della portante venga modulata dall’ampiezza del segnale di informazione: portante e segnale modulante vengono semplicemente moltiplicati, attraverso opportuni circuiti elettronici, nel dominio del tempo.

Si ottiene che il segnale risultante (segnale modulato) ha la stessa frequenza della portante e l’informazione è "codificata" nella sua ampiezza, istante per istante (misurata in Volt). Ciò viene descritto dicendo che la banda di frequenze occupata dal segnale modulante viene traslata, nel dominio delle frequenze, attorno attorno alla frequenza della portante.

Nettamente più complicata, sia matematicamente sia per la circuitazione necessaria, è la modulazione di frequenza, FM (frequency modulation), che consiste nel modulare la frequenza istantanea della portante in maniera proporzionale all’ampiezza del segnale di informazione (modulante).

In questo modo l’informazione è "codificata" nella frequenza del segnale trasmesso.

Poiché il segnale modulato risulta essere una sinusoide di ampiezza costante e periodo (frequenza) variabile e le interferenze "aggrediscono" l’ampiezza ma non la frequenza di un’onda, questa tecnica risulta molto più immune alle non linearità del canale di trasmissione, quindi al rumore, rispetto alla precedente. Questo tipo di modulazione è quella di gran lunga più utilizzata in ambito analogico.

La modulazione di fase, PM (phase modulation), infine, come possiamo a questo punto attenderci, consiste nel modulare la fase istantanea della portante in maniera proporzionale all’ampiezza del segnale di informazione. Valgono analoghe conclusioni a quelle dette per la modulazione di frequenza.

Le modulazioni digitali

Un segnale digitale, come ben sappiamo, può assumere solo valori discreti (per tempo ed ampiezza) ai quali valori in tensione vengono associati i bit 0 ed 1. Sia che si scelga di trasmettere il segnale via cavo o via etere, una qualche forma di modulazione (anche in banda base) è necessariamente richiesta. Nelle maggior parte delle modulazioni digitali, una o più "tranci" di sinusoidi variano le loro caratteristiche in base ai bit del segnale digitale di informazione.

A monte della modulazione digitale troviamo la codifica di canale, la quale "manipola" la sequenza di bit da trasmettere di modo che sia, tra l’altro, più facile la loro ricostruzione anche in presenza di errori.

Un ricevitore ottimo, all’estremo opposto, massimizza la distanza tra i possibili "simboli" inviati, eseguendo una correlazione tra i simboli ottenuti (rumorosi) e quelli che si aspetta di ottenere. Decide quindi in base ad una soglia di decisione. Dato che il canale è rumoroso si potrebbe calcolare la probabilità teorica di errore data la forma del simbolo.

Quadrature Amplitude Modulation (QAM)

Nella Modulazione di Ampiezza in Quadratura, il segnale digitale, diviso in parti uguali, modula in ampiezza due "tranci" di sinusoidi sfasate una rispetto all’altra di 90° (ad esempio seno e coseno) che, essendo ortogonali poiché in quadratura, possono esser trasmesse assieme senza reciproche interferenze pur avendo la medesima frequenza – ciò che permette un bit-rate doppio a parità di banda rispetto ad analoghe modulazioni a singola frequenza.

All’estremo opposto, il ricevitore dev’essere in fase con il trasmettitore (coerente).

Essendo in più il segnale digitale e quindi facilmente "manipolabile", abbiamo che, se codifichiamo più bit nella diversa ampiezza delle coppie seno-coseno utilizzando sinusoidi di diversa ampiezza possiamo trasmettere più bit per simbolo. Casi tipici sono le modulazioni 16-QAM, 64-QAM, 128-QAM e 256-QAM, le ultime sicuramente non adatte al wireless, dacché più livelli di tensione utilizziamo più la "distanza" tra i simboli si assottiglia e la probabilità di errore sale. La sigla M-QAM indica il numero di configurazioni di bit per simbolo.

Dato che il ritmo di bit(bitrate)=ritmo di simbolo*log2(M), si ha che in una 16-QAM ad esempio, rb=4rs, cioè è possibile inviare 4 bit per simbolo e la banda occupata coincide approssimativamente col ritmo di simbolo stesso (quindi avendo B=10 Mhz invio 40Mbit/s).

Frequency Shift Keying (FSK)

Il segnale digitale modula la frequenza di una sinusoide di modo che, nel caso di un bit per simbolo, 1 e 0 sono caratterizzati da una data differenza di frequenza del segnale modulato (stessa ampiezza e fase).

Phase Shift Keying (PSK)

Il segnale digitale modula la fase di una sinusoide di modo che, nel caso di un bit per simbolo, 1 e 0 sono caratterizzati da una differenza di fase di 180° del segnale modulato (stessa ampiezza e frequenza). I salti di fase del segnale trasmesso codificano quindi i bit di informazione.

Orthogonal Frequency-Division Multiplexing (OFDM)

È una tipologia di modulazione digitale che utilizza più sotto-portanti ortogonali, in modo da trasmettere contemporaneamente dati su più bande. Per ogni banda, viene usata una tra le modulazioni convenzionali viste, a bit-rate più basso.

I vantaggi rispetto alle modulazioni digitali a portante unica sono l’alta resistenza al rumore, come avviene per le modulazioni a spettro espanso. Grazie all’alta efficienza spettrale, l’OFDM raggiunge velocità di trasmissione molto buone.