Con il voto di fiducia alla manovra finanziaria Monti integrata dagli emendamenti, è stata ufficializzata la riforma del sistema previdenziale in Italia, nonostante le proteste dei sindacati.
Riforma pensioni 2012
La riforma delle pensioni ha subito solo pochi correttivi, in particolare la rivalutazione delle pensioni fino al 2013 per assegni fino a 1.421 euro (tre volte il minimo).
Confermate tutte le altre misure messe a punto dal Ministro del Welfare, Elsa Fornero, come il passaggio definitivo al metodo contributivo per tutti ed il blocco delle rivalutazioni per due anni per la gran parte delle pensioni.
L’ultima manovra finanziaria del 2011, primo atto importante del nuovo esecutivo (che lo stesso premier ha battezzato decreto salva Italia), prevede dunque una severa riforma delle pensioni, l’ennesima di questo 2011 ma forse non l’ultima in ambito previdenziale.
C’è intanto un provvedimento che si potrebbe definire “di emergenza”, quello che blocca per due anni le rivalutazioni, e poi ci sono una serie di misure strutturali che intervengono sui requisiti per accedere alla pensione e sul calcolo dell’assegno.
Come pensioni di anzianità rimangono solo quelle per chi ha maturato i famosi 40 anni di contributi, che però diventano 41 per le donne e 42 per gli uomini, incamerando di fatto le finestre (che tecnicamente spariscono).
Sparisce il meccanismo delle quote.
Tutte le altre pensioni saranno di vecchiaia, con l‘età pensionabile che si alza (con un meccanismo progressivo, che viene velocizzato rispetto a quanto previsto dalle precedenti manovre estive) e sarà di 66 anni per tutti, uomini e donne, a partire dal 2018. E per quanto riguarda il calcolo della pensione si passa al sistema contributivo per tutti.
Vediamo nel dettaglio tutte le misure.
Il blocco delle rivalutazioni
Per due anni, il 2012 e il 2013, vengono bloccate le rivalutazioni, ovvero l’adeguamento all’inflazione, di tutte le pensioni tranne quelle fino a tre volte il minimo (che significa fino a circa 1.400 euro al mese) per il 2012 e di tutte tranne quelle fino a 2 volte il minimo (936 euro al mese) fino al 2013.
E’ probabilmente la misura di maggior sacrificio, visto che di fatto va a toccare il potere d’acquisto di chi è già in pensione. Lo stesso ministro Fornero, proprio nel pronunciare la parola sacrificio, in sede di presentazione alla stampa, si è visibilmente commossa, provocando l’intervento del premier, Mario Monti, che ha terminato l’illustrazione della manovra finanziaria di fine 2011.
Per le pensioni minime, 469 euro al mese e per quelle fino all’importo di 936 euro, resta la copertura integrale della rivalutazione, continueranno dunque ad avere il 100% dell’indice Istat sull’inflazione.
Per tutti gli altri, invece, blocco per il biennio 2012-2013.
E’ utile ricordare che sugli assegni superiori ai 2400 euro mensili la rivalutazione era già stata congelata con la manovra finanziaria bis, poi convertita in legge in settembre. Di fatto, quindi, rispetto ai precedenti provvedimenti, vengono colpite le pensioni fra i 936 e i 2400 euro al mese.
Il sistema contributivo
Si passa definitivamente al sistema contributivo, completando di fatto un cammino intrapreso con la riforma Dini del 1995. Coloro che, a quella data (il ’95) aveano già maturato 18 anni di contributi hanno continuato ad andare in pensione con il sistema retributivo, più vantaggioso perchè basato soprattutto sullo stipendio degli ultimi anni di lavoro. Per tutti quelli che non avevano 18 anni di contributi nel ’95, in realtà era già scattato il sistema contributivo. Ora, contributivo per tutti, ovvero un sistema che calcola l’importo della pensione sulla base dei contributi effettivamente versati nell’arco dell’intera vita lavorativa.
Il calcolo parte, per chi fino a oggi aveva ancora il retributivo, sui contributi versati a partire dal 31 dicembre 2011. Su quelli precedenti, restano salve le precedenti regole. Questo significa che in realtà per chi aveva già 18 anni di contributi nel ’95, e presumibilmente è vicino alla pensione, non cambia moltissimo. Tendenzialmente, più si è vicini alla pensione meno si risente del nuovo sistema.
Viene invece penalizzato chi, magari lavorando più di 40 anni, sperava di avere un assegno milgiore con il contributivo che non con il contributivo, perchè in manovra c’è una clausola che stabilisce che in nessun caso si può avere una pensione più alta di quella che sarebbe stata prevista dal calcolo retributivo.
Le pensioni di anzianità
Di fatto, restano solo per chi matura più di 40 anni di contributi, ma la soglia si alza e incamera la finestra mobile, precedentemente prevista. Per la precisione, nel 2012 le donne possono andare in pensione con 41 anni e un mese di contributi, gli uomini con 42 anni e un mese. Nel 2013 il requisito sale di un mese (quindi diventa di 41 anni e due mesi per le donne e 42 anni e due mesi per gli uomini), e c’è un analogo incremento di un mese nel 2014 (quindi, 41 anni e tre mesi per le donne e 42 anni e 3 mesi per gli uomini). Va sottolineato che le finestre mobili spariscono, quindi ai requisiti di età appena illustrati non bisogna più aggiungere la finestra, e si inizia a percepire la pensione effettivamente da quando si smette di lavorare (per la precisione, il mese successivo alla maturazione dei requisiti).
Chi va in pensione di anzianità prima di aver maturato i requisiti di vecchiaia (cioè chi matura i requisiti appena descritti prima di raggiungere l’età minima prevista per la pensione di vecchiaia), prende un assegno “tagliato” del 2%, solo per l’eventuale quota retributiva, per ogni anno di anticipo. Viceversa, sono previsti incentivi per chi prolunga l’attività lavorativa.
Le pensioni di vecchiaia
Al di fuori di quanto appena descritto, tutte le altre pensioni d’ora in poi saranno pensioni di vecchiaia. Spariscono le quote. I lavoratori che quindi avevano previsto di andare in pensione con le quote che dovevano scattare nei prossimi anni saranno i più penalizzati, anche perchè contemporaneamente si alza l’età minima per andare in pensione, a cui ora tutti dovranno adeguarsi per la pensione di vecchiaia. Significa, per alcuni lavoratori, 5 o 6 anni di lavoro in più.
Comunque, l’età minima arriverà per tutti a 66 anni a partire dal 2018 (le manovre di quest’estate avevano previsto una gradualità maggiore, per cui si entrava definitivamente a regime nel 2026). E poi anche qui, le nuove età pensionabili incamerano le finestre. Risultato: per gli uomini (e per le donne del settore pubblico) l’età minima della pensione diventa di 66 anni a partire dal 2012.
Per le donne del privato, i nuovi scaglioni prevedono 62 anni nel 2012, 64 anni nel 2014, 65 nel 2016 e 66 nel 2018. Questo vale per le lavoratrici dipendenti. Per le autonome, invece, lo scalone 2012 è di tre anni e sei mesi (quindi l’età è di 63 anni e mezzo, dai precedenti 60), mentre le altre progressioni sono uguali a quelle delle dipendenti.
Secondo i primi calcoli, i più penalizzati, nel settore privato, risultano essere gli uomini nati nel ’52. Ad esempio, un uomo che compie 60 anni nel 2012 e lavora dal ’76, calcolando anche la finestra poteva andare in pensione nel 2013 (con 60 anni e 36 di contributi). Adesso, con l’abolizione delle quote e l’innalzamento dell’età pensionabile, dovrà aspettare il 2018 (quando avrà 66 anni, piuttosto che 42 anni di contributi).
Chi invece è nato entro il 31 dicembre del ’51 e ha la necessaria contribuzione (36 anni) riesce ancora ad andare in pensione con gli attuali requisiti, aspettando i 12 mesi di finestra mobile. E siccome ha raggiunto i requisiti prima del 31 dicembre prossimo, avrà ancora l’assegno calcolato con il metodo retributivo. Chi però, pur essendo nato nel ’51, non ha maturato 36 anni di contributi entro al fine di quest’anno (necessari per la quota 96), dovrà attendere di avere 66 anni, quindi andrà i pensione nel 2017. E il suo assegno sarà calcolato con il retributivo fino al 2011, mentre varrà il sistema contributivo per i versamenti a partire dal prossimo gennaio 2012.
Resta poi valido il meccanismo già stabilito relativo all’adeguamento alle aspettative di vita, che inizierà dal 2013 e che l’Istat ricalcolerà ogni tre anni. La riforma prevede però che a partire dal 2022 l’età minima sale comunque a 67 anni, per tutti, anche se l’adeguamento fosse più lento e non dovesse quindi raggiungere questa soglia.
Infine si prevedono dei meccanismi di flessibilità in uscita, differenziati per uomini e donne. Le prime possono andare in pensione fra i 63 e i 70 anni, gli uomini (e le dipendenti pubbliche) invece fra i 66 e i 70 anni, con un incentivo o un disincentivo a seconda che si anticipi o si ritardi l’età minima prevista alla data in cui ci si ritira.
Per chi valgono le vecchie regole
E’ una precisazione importante. Come già detto, chi matura entro il 31 dicembre di questo 2011 i requisiti previsti dalle vecchie norme (compresa la finestra del 2011) riesce ancora ad andare in pensione con le vecchie regole. Si salvano anche i lavoratori in mobilità alla data del 31 ottobre 2011 e coloro che sono coinvolti in piani di esubero anche se raggiungono i requisiti dopo il prossimo 31 dicembre.