E’ bufera sulla Web Tax estesa a tutte le imprese che realizzano ricavi da servizi digitali. La Legge di Bilancio 2025 elimina l’attuale soglia minima di fatturato in base alla quale l’imposizione fiscale al 3% si applica esclusivamente alle aziende con ricavi pari ad almeno 750 milioni di euro di cui 5,5 milioni inerenti l’erogazione di servizi digitali nel territorio dello Stato.
Questi vincoli fino ad oggi hanno circoscritto il perimetro d’azione della Web Tax alle Big tech come Google o Amazon, mentre con la nuova formulazione diventa applicabile anche a tutte le PMI digitali e ai giornali online di qualunque dimensione e volume d’affari.
Web Tax: cosa prevede la Manovra 2025
La Manovra 2025 elimina le soglie di fatturato per l’imposta al 3%, che in base al Ddl di Bilancio si applicherà a tutte le aziende che vendono servizi digitali, indipendentemente dalle dimensioni. Quindi, anche alle piccole e medie imprese del Digitale (Stampa online compresa) e alle Media Companies. La formulazione della nuova misura, che riscrive il comma 36 della Legge 145/2018, è la seguente:
Sono soggetti passivi dell’imposta sui servizi digitali i soggetti esercenti attività d’impresa che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali di cui al comma 37 nel territorio dello Stato.
Si tratta, fra l’altro, di una tassa sui ricavi da servizi digitali, e non sugli utili, Di conseguenza, l’impatto sarebbe dirompente anche sulle imprese che, eventualmente, sono in perdita.
A quali imprese si applica la nuova Web Tax
Il sopracitato comma 37 della Legge 145/2018 stabilisce che l’imposta si applichi ai seguenti servizi:
- veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia;
- messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi;
- trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.
L’Agenzia delle Entrate spiega infatti che la tassazione riguarda la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai gestori di tali piattaforme, e la trasmissione di dati.
I servizi esenti da Web Tax
Non rientrano nel perimetro della web tax la fornitura diretta di beni e servizi attraverso un servizio di intermediazione digitale o il proprio sito web; la messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia stessa, mettendo a disposizione contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento; le piattaforme che gestiscono i sistemi dei regolamenti interbancari.
Critiche e proposte delle imprese
Confartigianato, CNA e Casartigiani definiscono «inappropriata la scelta di estendere l’applicazione della cosiddetta web tax a tutte le imprese digitali».
La Fieg (Federazione italiana editori giornali) chiede al Parlamento di correggere una misura che colpisce «tutte le imprese digitali italiane, sottoponendole ad una duplice tassazione e accentuando così la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo nei confronti dei colossi globali del Web».
Confapi ritiene «che si tratti di una misura troppo penalizzante per le PMI che operano nel digitale» e chiede «che vengano ripristinati i precedenti parametri incrementando semmai la percentuale di tassazione per i soli giganti del Web».