Il differimento del TFR agli Statali comporta pesanti perdite economiche: secondo un’analisi CGIL, un dipendente pubblico che si ritira con uno stipendio di 30mila euro, perde di fatto oltre 12mila euro di liquidazione; su uno stipendio più da 60mila euro, calcolando la riduzione del potere d’acquisto e la mancata rivalutazione sul TFR-TFS, si perdono oltre 40mila euro.
I sindacati insistono nel chiedere al Governo una soluzione, facendo riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale dello scorso anno, secondo cui è necessario porre rimedio con urgenza a una prassi che penalizza il lavoratore pubblico quando va in pensione.
Come funziona il pagamento del TFS agli Statali
La norma che i sindacati chiedono di rivedere è l’articolo 3, comma 2, del decreto 79/1997. In base a questa disposizione, il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici viene pagato con tempistiche differenti a causa del motivo della cessazione del rapporto di lavoro. Si va da 105 giorni in caso di decesso o inabilità a 12 mesi per chi va in pensione per raggiunti limiti di età a 24 mesi nel caso invece di dimissioni o licenziamento.
Non solo: se la liquidazione è superiore ai 50mila euro, il pagamento avviene a rate, e le date sopra riportate diventano il termine per il primo versamento. Per chi ha maturato un TFR sopra i 100mila euro, il pagamento avviene in tre rate annuali. Considerando che la prima rata arriva dopo 24 mesi, di fatto ci vogliono cinque anni per incassare tutto il TFS.
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TFR differito: ecco quanto si perde
La Cgil ha dunque effettuato una serie di calcoli per quantificare la perdita del potere d’acquisto determinata da questo sistema dilazionato di pagamenti, che non prevede il recupero dell’inflazione.
Nelle simulazioni della CGIL sono analizzati tre diversi scenari, tutti riferiti a dipendenti che si sono ipoteticamente ritirati con 43 anni di servizio al 31 dicembre 2021. Eccoli in tabella:
Nel primo caso, con retribuzione annua lorda di 30mila euro, il TFR è pagato in due rate annuali (nel 2025 e nel 2026) con una perdita di potere d’acquisto di 12.660 euro a fronte di una liquidazione di 86mila euro. Il dipendente che guadagnava 40mila euro l’anno, maturato una liquidazione di circa 114mila euro, perdendo oltre 17mila euro di mancata rivalutazione sull’inflazione. Infine, con un ultimo stipendio di 60mila euro, la perdita è intorno ai 27mila euro.
Ma attenzione: questo è solo il calcolo sulla penalizzazione determinata dal mancato adeguamento all’inflazione. Il sindacato aggiunge anche un ulteriore elemento, calcolando quanto avrebbe potuto rendere la somma se fosse stata versata per tempo. Lo fa ipotizzando un investimento con un rendimento del 2,5% annuo.
In questo caso, la perdita sale a oltre 17mila euro per il dipendente che a fine carriera aveva uno stipendio di 30mila euro, e come detto a 41mila euro per chi invece aveva un reddito di 60mila euro.
La richiesta dei sindacati al Governo
«Il Governo, che continua ad ignorare questa situazione e che in materia di previdenza pensa solo a misure per fare cassa, deve intervenire», dichiarano CGIL nazionale, FP, FLC e SPI in una nota congiunta. I sindacati sottolineano anche che c’è una di cui tener conto.
«Nonostante la Corte Costituzionale, con la sentenza 130/2023, abbia dichiarato questa prassi contraria al principio costituzionale della giusta retribuzione (art. 36 della Costituzione), il Governo non ha ancora intrapreso alcuna azione concreta per porre fine a questa ingiustizia. A più di un anno dalla sentenza, nessun passo avanti è stato fatto».
La pronuncia della Consulta in realtà non dichiara l’illegittimità della norma che ha istituito il sopra descritto sistema di differimento del TFR, ritenendo che il legislatore abbia correttamente esercitato la discrezionalità che la Costituzione conferisce. Ma sottolinea che, nella sostanza, i tempi di pagamento del TFR ai dipendenti pubblici rappresentino in effetti una violazione dei principi costituzionali di giusta retribuzione. E ricorda precedenti sentenze in cui ha definito «non tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati» in materia di pagamento del TFS ai dipendenti pubblici.