Il taglio dell’indicizzazione delle pensioni stabilito con le ultime due manovre economiche finisce davanti alla Corte Costituzionale, proprio mentre il Governo sta valutando di riproporre nella nuova Legge di Bilancio 2025 il blocco della perequazione per gli assegni superiori a quattro volte il minimo.
Non è la prima volta che i giudici di legittimità sono chiamati a pronunciarsi su una misura di riduzione dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni.
Già nel 2015 il Governo era stato costretto a fare marcia indietro sul taglio della perequazione nel 2011. Questa volta, la Corte Costituzionale è stata chiamata in causa dalla Corte dei Conti della Toscana, in relazione al ricorso proposto da un ex dirigente scolastico. Vediamo tutto.
Taglio rivalutazione pensioni sotto accusa
L’eccezione di incostituzionalità sollevata dai magistrati contabili riguarda gli articoli 36 e 38 della Costituzione. Il blocco della rivalutazione delle pensioni, si legge nell’ordinanza, «lede non solo l’aspettativa economica ma anche la stessa dignità del lavoratore in quiescenza». In pratica, il legislatore sembra non considerare la pensione «come il meritato riconoscimento per il maggiore impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva, ma alla stregua di un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale».
Il principio della proporzionalità della retribuzione, proseguono i magistrati toscani, va assicurato «anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza, non solo per assicurare al soggetto un trattamento economico commisurato all’attività lavorativa svolta ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione».
Ricorso contro l’indicizzazione pensioni 2023 e 2024
La misura legislativa nel mirino è contenuta nella Manovra 2023, che ha ridotto l’indicizzazione piena delle pensioni superiori a quattro volte il minimo. Nel dettaglio, il comma 309 della legge 197/2023 ha previsto la perequazione al 100% fino a quattro volte il minimo, scendendo all’85% fra quattro e cinque volte il minimo, al 53% fra cinque e sei volte, al 47% fra sei e otto volte il minimo e al 37% fra otto e dieci volte e al 32% sopra le dieci volte il minimo.
Queste aliquote si applicano all’inflazione stimata per l’anno. Quindi, il 100% corrisponde a una rivalutazione che incamera completamente l’inflazione, mentre le aliquote più basse vanno rapportate all’indice dei prezzi.
L’aumento pieno nel 2023 è stato del 7,3%, quello delle pensioni maggiormente penalizzate, sopra le dieci volte il minimo, pari al 2,3% (il 32% di 7,2).
L’ultima fattispecie è quella del ricorrente, che ha subito la rivalutazione ridotta dell’indicizzazione per il proprio assegno due anni di seguito, visto che la Manovra 2024 ha ulteriormente penalizzato i trattamenti sopra le dieci volte il minimo facendo scendere la percentuale di rivalutazione al 23%.
Le ipotesi sulla rivalutazione pensioni in Manovra 2025
Ora bisogna attendere la sentenza della Corte Costituzionale, che prevedibilmente avrà tempi lunghi. Nel frattempo c’è da predisporre la Manovra 2025. I tagli sopra descritti, previsti nel 2023 e 2024, scadono il prossimo 31 dicembre. In mancanza di novità in Legge di Bilancio, dal prossimo gennaio si torna al meccanismo previsto dall’articolo 34, comma 1, della legge 448/1998, con rivalutazione piena per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo INPS, al 90% tra quattro e cinque volte il minimo e al 75% per le fasce di sopra le cinque volte il minimo.
Ad ogni modo, l’aumento della pensione sarà inferiore nel 2025, almeno in termini assoluti, perchè nel frattempo si è fortemente rallentata la corsa dell’inflazione.
Ipotizzando una stima di inflazione al 2% (le ultime previsioni sono persino più basse), se si manterranno le aliquote 2024 una pensione superiore alle dieci volte il minimo crescerebbe dello 0,44%. Un ulteriore taglio comporterebbe addirittura un azzeramento della perequazione.
Secondo Confindustria e Bankitalia, l’inflazione dovrebbe diminuire dell’1,3% a fine 2024. Il minimo INPS dovrebbe subire nel 2025 una rivalutazione dell’1,6%, portando la pensione minima ad un aumento di almeno 9,57 euro.
Il rimborso 2015 contro il tagli della riforma Fornero
Come detto, in passato la Corte Costituzionale si era già pronunciata (con sentenza 70/2015) su un taglio delle rivalutazioni, per la precisione quello operato dalla riforma pensioni Fornero del 2011. Era una riduzione più pesante e toccava i trattamenti sopra le tre volte il minimo, con percentuali ancora meno favorevoli di quelle 2023. La Corte aveva bocciato il taglio ritenendolo anticostituzionale perché lesivo dei principi di proporzionalità e adeguatezza sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione, a fronte di una troppo generica “contingente situazione finanziaria”.
Dopo quella sentenza, il Governo era corso ai ripari riconoscendo un rimborso parziale ai pensionati basato su nuove aliquote, dettagliate nel decreto legge 65/2015. Anche questo provvedimento era stato oggetto di sentenza della Corte, che però lo aveva ritenuto legittimo.
Bisogna dunque capire se e come saranno valutati i tagli alla perequazione applicati nel 2024 e nel 2024 in relazione alle esigenze di bilancio. E nel frattempo, attendere le decisioni sulla prossima manovra economica.