Per evitare che i giovani debbano accontentarsi di assegni pensionistici molto bassi, allontanando progressivamente la data della pensione, è ormai da tempo riconsciuto utile destinare alla previdenza complementare una quota del TFR, dal momento che nel lungo periodo i rendimenti risultano di molto maggiori rispetto all’accantonamento in azienda della quota maturata annualmente dai dipendenti.
In Italia non è ancora molto sviluppata questa tendenza, con i lavoratori ancora piuttosto restii a investire il proprio TFR dei fondi pensione.
Diverso sarebbe se ci fosse in questo senso un obbligo, oppure una sorta di silenzio-assenso (con necessità di opt-out invece che opt-in): a fine carriera, numeri attuali alla mano, si potrebbe contare su un gruzzolo maggiore rispetto a quello che si ottiene lasciando il TFR al datore di lavoro.
=> Fondi Pensione: rendimenti superiori al TFR
Le pensioni italiane, in futuro, saranno sempre più povere perchè il sistema di calcolo interamente contributivo penalizza i lavoratori pià giovani, sia per quanto riguarda le rendite sia per l’età di accesso alla pensione. Da qui la necessità di inserire nella prossima Riforma Pensioni delle nuove misure che incentivino la previdenza complementare e che in qualche modo costituiscano una forma di pensione di garanzia per i giovani.
La valutazione dell’obbligo di versare parte del TFR nei Fondi Pensione è stata anticipata dal Sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, mettendo in evidenza come questi versamenti potrebbero garantire un futuro più roseo:
Se si introduce un obbligo per tutti i lavoratori di destinare una quota del TFR (che oggi finisce all’INPS o resta in azienda, in assenza di adesione a un fondo pensione) alla previdenza complementare di categoria o ai fondi pensione aperti, la futura pensione integrativa si potrà sommare a quella maturata nel sistema pubblico anche per poter raggiungere il requisito dei 1.500 euro mensili (3 volte l’assegno sociale) per uscire a 64 anni.
La questione sarà oggetto, da settembre, di un confronto con sindacati e imprese, proponendo una base di partenza del 25% del TFR da investire obbligatoriamente nella previdenza complementare.
La proposta è accompagnata anche da quella di un semestre di silenzio-assenso, sul quale si è detta favorevole anche la ministra del Lavoro Elvira Calderone.
Il meccanismo comporterebbe però seri problemi alle piccole aziende, dove la trattenuta del TFR è oggi un importante sostegno finanziario per l’attività. Anche per questo motivo sarà fondamentale una concertazione con le parti sociali.