Autonomia differenziata: pro e contro per le diverse Regioni

di Noemi Ricci

26 Agosto 2024 12:02

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Autonomia differenziata per le Regioni italiane: cosa prevede la nuova legge, il rischio di disuguaglianze, i maggiori poteri, la ripartizione dei fondi.

L’autonomia differenziata è diventata uno dei temi centrali del dibattito politico italiano dopo l’approvazione della legge n. 86 del 2024, che ha introdotto nuove disposizioni per l’attuazione di questo meccanismo costituzionale.

La legge, fortemente voluta dal Ministro Roberto Calderoli, intende dare un quadro unitario per l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione, che consente alle Regioni a statuto ordinario di richiedere il trasferimento di specifiche competenze dallo Stato.

Sebbene l’obiettivo sia quello di rafforzare il principio di sussidiarietà e migliorare l’efficienza amministrativa, le implicazioni della legge n. 86/2024 sono complesse e suscitano molte preoccupazioni riguardo al possibile aumento delle disuguaglianze territoriali.

Autonomia differenziata: cosa prevede la Legge n. 86/2024

La legge n. 86/2024 non rappresenta un mero trasferimento di poteri, ma introduce un articolato sistema di negoziazioni tra lo Stato e le singole regioni richiedenti, culminando in un’intesa che deve essere approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta.

Il processo è stato reso necessario dopo che diverse regioni, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, hanno avviato negoziati con il governo nel 2017, chiedendo maggiore autonomia su una vasta gamma di materie.

Queste materie, che vanno dalla tutela del lavoro alla protezione civile, dall’istruzione all’energia, sono attualmente di competenza concorrente tra Stato e regioni. Tuttavia, l’attribuzione di tali competenze alle regioni, se non adeguatamente regolata, potrebbe frammentare ulteriormente il quadro normativo nazionale, creando disomogeneità nell’applicazione delle leggi e aggravando la burocrazia per cittadini e imprese.

L’attuazione dell’autonomia differenziata è un processo complesso, regolato da una serie di norme e procedure dettagliate. Recentemente, il disegno di legge A.C. 1665, presentato il 27 aprile 2024, mira a fornire una cornice legislativa chiara per l’attribuzione di questa autonomia, garantendo che la sua attuazione rispetti i principi di unità giuridica ed economica del paese, nonché i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale.

Analizziamo in dettaglio implicazioni e prospettive future dell’autonomia differenziata delle regioni italiane.

Materie trasferibili e complessità normativa

La nuova legge consente alle regioni di richiedere l’attribuzione di venti materie attualmente condivise tra Stato e regioni, oltre a tre materie attualmente di competenza esclusiva dello Stato. Tra le più rilevanti si trovano l’istruzione, la ricerca scientifica, l’energia e la protezione civile:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  • commercio con l’estero;
  • tutela e sicurezza del lavoro;
  • istruzione, salvo l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale;
  • professioni;
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  • tutela della salute;
  • alimentazione;
  • ordinamento sportivo;
  • protezione civile;
  • governo del territorio;
  • porti e aeroporti civili;
  • grandi reti di trasporto e di navigazione;
  • ordinamento della comunicazione;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  • previdenza complementare e integrativa;
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Questo ampio ventaglio di possibilità ha sollevato il timore che il decentramento di competenze possa generare confusione normativa e oneri aggiuntivi per la gestione amministrativa. Infatti, mentre la Costituzione prevede che le regioni possano legiferare su materie concorrenti nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato, la nuova legge rischia di minare questa supremazia, consentendo alle regioni di legiferare in maniera autonoma su questioni di rilevanza nazionale.

Un punto particolarmente critico è rappresentato dai rapporti internazionali e con l’Unione Europea, che potrebbero essere trasferiti alle regioni. Questo comporta il rischio di una frammentazione della politica estera e commerciale dell’Italia, con possibili conflitti tra le diverse regioni e tra queste e lo Stato centrale.

La gestione di grandi infrastrutture, come porti, aeroporti e reti di trasporto, rappresenta un altro esempio di come la devoluzione di poteri possa complicare ulteriormente la governance nazionale, riducendo l’efficienza operativa e aumentando i costi amministrativi.

I Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP)

I Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) sono un elemento cruciale per garantire l’equità territoriale in un sistema di autonomia differenziata. Previsti dall’articolo 117 della Costituzione, i LEP definiscono i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La legge n. 86/2024 stabilisce che il trasferimento di funzioni alle regioni sia subordinato alla determinazione dei LEP.

L’articolo 3 prevede che il Governo adotti, entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per individuare questi LEP, basandosi sui principi stabiliti dalla legge di bilancio 2023. Questa legge ha già delineato una procedura per la determinazione dei LEP, istituendo una Cabina di regia e un Comitato tecnico-scientifico per supportare il processo.

Tuttavia, l’effettiva implementazione di questi livelli essenziali dipende dalla disponibilità delle risorse finanziarie necessarie, il che solleva dubbi sulla tempistica e sull’efficacia di tali misure.

Il principio dei LEP è stato concepito per evitare che le regioni più ricche possano accumulare risorse a scapito delle aree meno sviluppate, mantenendo un equilibrio tra le diverse aree del Paese. Tuttavia, l’esperienza passata con i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) nel settore sanitario ha dimostrato quanto sia difficile applicare uniformemente questi standard, soprattutto in un contesto di crescenti disuguaglianze economiche e sociali. Senza un’attenta pianificazione e un monitoraggio costante, i LEP rischiano di rimanere una promessa non mantenuta, con conseguenze significative per la coesione nazionale.

Il processo di negoziazione e i rischi per l’unità nazionale

La procedura per l’approvazione delle intese tra lo Stato e le regioni rappresenta il cuore del processo di autonomia differenziata. Il negoziato tra il governo e le singole regioni viene condotto da una commissione paritetica, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa preliminare.

L’articolo 2 del disegno di legge disciplina il processo di negoziazione e approvazione delle intese tra Stato e Regioni. Questo processo inizia con la richiesta della Regione interessata, che deve essere trasmessa al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali. Il negoziato tra lo Stato e la Regione viene avviato dopo la consultazione degli enti locali e la valutazione delle risorse necessarie. È previsto un iter articolato che include la trasmissione dello schema di intesa preliminare alla Conferenza Unificata e alle Camere, dove deve essere esaminato e approvato secondo specifiche tempistiche.

Questo iter, pur garantendo un certo livello di controllo centrale, solleva preoccupazioni sulla possibilità che si creino disparità tra le regioni, con un impatto negativo sull’unità giuridica ed economica del Paese.

Uno degli aspetti più controversi è il potere del Presidente del Consiglio di limitare l’oggetto del negoziato per tutelare l’unità nazionale e indirizzare le politiche pubbliche prioritarie. Questo potrebbe ridurre il margine di manovra delle regioni e creare tensioni tra il governo centrale e le amministrazioni regionali, soprattutto in un contesto politico già caratterizzato da forti spinte centrifughe.

Le implicazioni finanziarie e le critiche alla legge

Dal punto di vista finanziario, la legge n. 86/2024 prevede che le risorse necessarie per l’esercizio delle nuove competenze regionali vengano determinate in base alla compartecipazione al gettito di tributi erariali. Tuttavia, la gestione di queste risorse rimane saldamente nelle mani dello Stato, con il Ministro dell’Economia che può variare annualmente le aliquote di compartecipazione per riallineare le risorse ai fabbisogni.

Questo meccanismo, se da un lato garantisce un controllo centrale, dall’altro riduce l’autonomia finanziaria delle regioni, limitando la loro capacità di pianificazione a lungo termine.

Le critiche alla legge si concentrano principalmente sul rischio di creare una “Repubblica di Arlecchino“, con competenze e risorse distribuite in modo disomogeneo tra le regioni, aumentando la complessità amministrativa e burocratica.

Alcuni osservatori sottolineano che l’autonomia differenziata dovrebbe essere simmetrica, non asimmetrica, per evitare disparità tra le regioni e garantire che tutti i cittadini italiani abbiano accesso agli stessi livelli di servizi e diritti, indipendentemente dal luogo di residenza.

Evoluzione normativa dell’autonomia differenziata

L’attuazione dell’autonomia differenziata in Italia, prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ha visto un’evoluzione significativa nelle ultime legislature.

XVII Legislatura (Governo Gentiloni)

Il 28 febbraio 2018, alla fine della XVII legislatura, il governo Gentiloni ha firmato tre accordi preliminari con le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che avevano avviato il percorso per ottenere maggiori forme di autonomia. Questi accordi stabilivano i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie da trasferire. Le principali materie includevano la tutela dell’ambiente, la sanità, l’istruzione e il lavoro. Gli accordi avevano una durata decennale, con possibilità di revisione in caso di mutamenti sostanziali.

XVIII Legislatura (Governo Conte I e II)

Con l’inizio della XVIII legislatura, durante il governo Conte I, le regioni firmatarie hanno espresso l’intenzione di ampliare le materie da trasferire. Altre regioni, come Piemonte, Liguria e Toscana, hanno manifestato l’interesse a intraprendere un percorso simile. Durante questo periodo, il dibattito si è intensificato, focalizzandosi su temi come il coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e la necessità di definire i costi standard e i Livelli essenziali di prestazione (LEP) prima del trasferimento delle competenze.

Con il governo Conte II, si è affermata la necessità di precedere la stipula delle intese con l’approvazione di una legge-quadro che definisse le modalità di attuazione dell’autonomia differenziata. Questa proposta è stata inclusa tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio nel 2020.

XIX Legislatura (Governo Draghi)

Sotto il governo Draghi, la ministra per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, ha istituito una commissione per studiare e supportare l’attuazione dell’autonomia differenziata. Nonostante i progressi, alla fine della legislatura, il disegno di legge-quadro non è stato ancora presentato alle Camere.

Parallelamente, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha condotto un’indagine conoscitiva per approfondire le questioni legate al regionalismo differenziato, approvando all’unanimità un documento conclusivo nel luglio 2022. Questa commissione ha anche esaminato gli aspetti dell’autonomia finanziaria attraverso un ciclo di audizioni.

L’attuazione dell’autonomia differenziata resta un tema complesso e ancora in fase di definizione, con numerose questioni aperte che richiedono ulteriori discussioni e accordi tra le parti coinvolte.

L’autonomia differenziata: un delicato equilibrio da gestire

In sintesi, la legge n. 86/2024 rappresenta un compromesso che implica l’attuazione di molte delle scelte cruciali per il futuro dell’Italia, lasciando aperti numerosi interrogativi sul destino del regionalismo italiano.

Mentre il processo di autonomia differenziata potrebbe offrire l’opportunità di un governo più vicino ai cittadini, esso comporta anche rischi significativi per l’unità nazionale, la coesione sociale e l’equità territoriale.

Il successo di questa riforma dipenderà dalla capacità del governo e delle regioni di trovare un equilibrio tra autonomia e solidarietà, tra efficienza amministrativa e giustizia sociale.

Il futuro dell’Italia si giocherà in gran parte sulla capacità di gestire questo delicato equilibrio, garantendo che l’autonomia differenziata non diventi un fattore di divisione, ma uno strumento di crescita e coesione per l’intero Paese.