Dal 1° giugno 2024 sono in quiescenza e percepisco una pensione da ex dipendente pubblico. Avendo familiari a carico (due universitari), mi sono chiesto se potesse essere vantaggioso procedere alla acquisizione della qualifica di coltivatore diretto, avendo già una formazione professionale agraria.
Avendo ereditato terreni agricoli dai genitori dal 1990, ho seguito marginalmente questa piccola azienda compatibilmente con l’attività di dipendente, comunque con regolare iscrizione alla Camera di Commercio, Partita IVA, Contabilità IVA, Titoli PAC, senza mezzi agricoli né fabbricati rurali o urbani in detti terreni, tra l’altro irrigui (ovviamente, non potevo avere la qualifica di IATP).
Per esempio, leggevo tra le vostre risposte, che lo IATP avrebbe una riduzione del valore del 50% dei terreni per ISEE. Questo però potrebbe essere piccola cosa rispetto all’adempimento obbligatorio del versamento di altri contributi nelle casse statali. Potreste indicarmi pro e contro per decidere con maggiore consapevolezza?
La qualifica di coltivatore diretto può offrire vantaggi significativi, soprattutto in termini fiscali e previdenziali, ma come lei giustamente sottolinea va valutata attentamente la convenienza complessiva rispetto ai nuovi obblighi contributivi. Di seguito, una sintesi dei pro e contro associati all’acquisizione di questa qualifica, in particolare considerando la sua situazione come ex dipendente pubblico in pensione, già con attività agricola marginale.
Vantaggi: esenzioni e agevolazioni fiscali
- IMU: i coltivatori diretti godono di esenzioni dall’IMU sui terreni agricoli, che può essere un vantaggio significativo, soprattutto se possiede ampie estensioni di terreni ereditati (è quindi importante verificare se i terreni in questione ricadono in aree esenti o agevolate).
- Tassazione agevolata su reddito agrario: i coltivatori diretti pagano le tasse su base catastale (reddito agrario), spesso inferiore rispetto al reddito reale. Questo potrebbe comportare una tassazione più bassa rispetto alla normale imposizione sui redditi derivanti da altre attività.
- Esenzione ISEE: come coltivatore diretto, il 50% del valore dei terreni non viene considerato ai fini del calcolo dell’ISEE, il che può ridurre l’indicatore e rendere più accessibili alcune agevolazioni, come quelle per i figli universitari.
=> Contributi PAC in Agricoltura: guida ai nuovi aiuti
- Contributi europei e aiuti PAC: il Programma di Sviluppo Rurale e i pagamenti diretti della Politica Agricola Comune (PAC) prevedono agevolazioni per i coltivatori diretti, che possono rendere redditizia l’attività agricola, soprattutto in un’azienda agricola già in funzione.
Svantaggi: obbligo contributivo e adempimenti
- Versamenti obbligatori: L’iscrizione come coltivatore diretto comporta il versamento dei contributi previdenziali all’INPS gestione agricola, anche se è già in pensione. Questi contributi possono essere abbastanza elevati, riducendo il vantaggio netto derivante dalle altre agevolazioni. Si tratta di un obbligo contributivo annuale che potrebbe non essere giustificato da un’attività agricola ridotta o poco redditizia. I contributi per coltivatori diretti sono infatti calcolati su una base minima di reddito, a prescindere dai guadagni effettivi.
- Per farle un esempio, nel 2024 i contributi dovuti dai coltivatori diretti sono determinati in base a un’aliquota IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) del 24%, calcolata su un reddito convenzionale che varia in base alla fascia in cui ricade l’azienda agricola, con una media giornaliera fissata a 63,06 euro. Oltre a questa aliquota, è previsto un contributo fisso giornaliero di 0,79 euro per un massimo di 156 giornate lavorative annue, a cui si aggiunge un contributo annuo per maternità di 7,49 euro e un contributo INAIL per infortuni e malattie professionali, fissato a 768,50 euro (ridotto a 532,18 euro per le zone montane o svantaggiate). In totale, i contributi annui per un coltivatore diretto variano tra 3.260,20 e 5.621,16 euro a seconda del reddito dell’azienda.
- Gestione dell’azienda: la qualifica di coltivatore diretto richiede un impegno attivo nella gestione dell’azienda agricola e un investimento di tempo e risorse per gestire la contabilità agricola e altri obblighi amministrativi; se intende mantenere un approccio marginale o non operativo all’attività agricola, i vantaggi fiscali potrebbero non giustificare questo impegno.
In conclusione, la decisione di acquisire la qualifica di coltivatore diretto dipende dal bilanciamento tra i vantaggi fiscali e agevolativi (soprattutto l’esenzione IMU, la tassazione sul reddito agrario, e i benefici sull’ISEE) e gli obblighi contributivi all’INPS, che rappresentano il costo principale. Inoltre, bisogna tenere conto degli eventuali impatti che questa qualifica potrebbe avere sulla sua pensione.
Una consulenza specifica con un professionista (commercialista o consulente del lavoro) sarebbe utile per verificare l’effettivo carico contributivo e valutare se i benefici fiscali compensino il costo contributivo.
Hai una domanda che vorresti fare ai nostri esperti?
Chiedi all'espertoRisposta di Anna Fabi