In un vostro recente articolo non avete tenuto conto di un orientamento delle Sedi INPS (a mio avviso illegittimo, poiché attuativo di una propria circolare del 2018, non fondata sulla lettera della normativa vigente), secondo il quale la presenza di un parente di primo grado del disabile nel nucleo familiare impedisce all’affine/caregiver di fruire della pensione anticipata.
In considerazione del fatto che le recenti circolari relative alla misura pensionistica “Opzione donna” non tengono conto della summenzionata circolare del 2018, chiedo se quest’ultima debba intendersi superata anche per i lavoratori precoci che assistono un affine, considerate – d’altra parte – le modifiche normative intervenute rispetto alla legge 104/1992 (id est: scomparsa del referente unico per l’assistenza al disabile e la fruizione dei permessi mensili).
La regola è la seguente. Ai fini del requisito per la pensione precoci, in linea di massima il caregiver deve essere il coniuge anche in unione civile, oppure un parente di primo grado.
Può essere anche un parente o un affine di secondo grado solo nel caso in cui i genitori oppure il coniuge della persona che necessita di assistenza abbiamo almeno 70 anni oppure siano a loro volta affetti da patologie invalidanti, o ancora siano deceduti.
Quindi, in effetti, se mancano le condizioni sopra esposte, cioè se il coniuge o i genitori hanno meno di 70 anni e non hanno patologie invalidanti, il caregiver deve necessariamente essere un parente di primo grado (quindi, genitori e figli).
In questo caso, di conseguenza, è corretta l’interpretazione INPS in base alla quale i parenti di secondo grado (fratelli e sorelle, nonni e nipoti) e gli affini entro il secondo grado (suoceri, cognati, nonni del coniuge) non possono essere considerati caregiver.
Il riferimento normativo è il comma 199 della legge 232/2016, in base al quale i caregiver sono così definiti:
assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Il requisito come lei correttamente rileva è analogo a quello previsto per l’Opzione Donna.
La circolare INPS del 2018 a cui lei si riferisce fornisce un’interpretazione più restrittiva, escludendo i parenti e gli affini di secondo grado anche a fronte del fatto che siano i figli ad avere più di 70 anni o patologie invalidanti.
Ma in effetti la normativa primaria non lo prevede. E sul portale INPS, nelle pagine dedicate ai requisiti per la pensione con la Quota 41 dei lavoratori precoci, non è presente questa interpretazione, ma si fa riferimento alle regole generali sopra riportate, ossia a lavoratori che:
assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;
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Chiedi all'espertoRisposta di Barbara Weisz