Occupazione in crescita in Italia, con il numero di impiegati oltre i livelli pre Covid, soprattutto al Sud e con aumento dei contratti a tempo indeterminato: è la fotografia scattata dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre.
L’associazione di artigiani segnala anche l’incremento nell’ultimo anno del nuovo personale con qualifiche più elevate. Restano tuttavia una serie di fattori critici che caratterizzando le tendenze nel mercato del lavoro: retribuzioni ai minimi in Europa e maglia nera per tasso di occupazione e crollo del lavoro autonomo.
Occupazione in ripresa
Nel 2023 la platea degli occupati in Italia ha toccato i 23,6 milioni di unità, 471 mila in più rispetto al periodo pre-Covid, e in base alle previsioni arriveremo a 24 milioni di addetti entro il 2025. L’84% dei lavoratori dipendenti ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (15,57 milioni su 18,54 milioni), con un aumento del 5% sul periodo pre pandemico.
La quasi totalità dei nuovi posti di lavoro 2023, il 96,5%, riguarda personale altamente specializzato, con una crescita del 5,8 per cento anno su anno e del 2,3% rispetto al 2019.
Rimonta del Sud Italia
Gli incrementi più significativi dell’occupazione sono stati raggiunti nel Mezzogiorno. Il confronto con il 2019, quindi con i dati pre pandemia, vede in testa la Puglia, +6,3%, seguita da Liguria e Sicilia, entrambe con il +5,2%. La classifica per città è a sua volta capitanata da una provincia pugliese, Lecce, + 16,5%, seguita da Benevento, +12,4%, Enna, +11,2 per cento, Frosinone, +10,9 per cento, e Ragusa con il +9,4%. Ci sono però realtà del Sud che restano invece in fondo anche a livello di incremento occupazione: Sud Sardegna, Siracusa, Caltanissetta, Sassari, oltre alla provincia marchigiana di Fermo.
In termini assoluti, il podio è invariato: Lombardia, 4,5 milioni di occupati, Lazio, 2,3 milioni, e Veneto, 2,2 milioni, seguiti dall’Emilia Romagna, 2 milioni. Per città, in testa Roma, 1,8 milioni di occupati, seguita da Milano, 1,5 milioni, e Torino, 900mila, al quarto posto Napoli con 840mila lavoratori.
Retribuzioni ancora indietro
E veniamo alle note dolenti. La principale rimane il basso tasso di occupazione: tra i 20 paesi dell’area dell’euro, l’Italia è all’ultimo posto con il 61,5%, contro una media dell’Eurozona del 70,1%. La seconda riguarda i livelli retributivi, mediamente più bassi degli altri Paesi dell’UE.
I fattori che incidono sono la bassa produttività del lavoro, un numero molto alto di NEET, giovani che non studiano e non lavorano, e una scarsa partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Infine, non va trascurato il trend del lavoro autonomo, in flessione del 4,2% sul 2019, nonostante nell’ultimo anno ci sia stato un leggero segnale di ripresa pari +62 mila unità.
In prospettiva, bisogna affrontare il calo demografico: nei prossimi 10 anni la platea delle persone in età lavorativa (15-64 anni) è destinata a diminuire di 3 milioni di unità (-8,1%).
Rischia di aumentare in particolare la difficoltà a trovare personale qualificato, a risentirne potrebbero essere soprattutto le piccole e le micro imprese, mentre per le realtà medie e grandi il problema potrebbe essere più contenuto anche in considerazione della possibilità di offrire stipendi più elevati della media, orari ridotti, benefit e importanti pacchetti di welfare aziendale.