Dai commenti indesiderati alle battute sessiste fino alle vere e proprie avance. E poi i comportamenti che riflettono categorie culturali maschiliste, che esistono nella società e che vengono trasportate nel mondo del lavoro ai più alti livelli: le donne manager vengono interrotte più spesso quando intervengono in una riunione, e fanno più fatica a parlare liberamente in aziende dei carichi di cura o di argomenti legati al work-life balance.
Sono alcuni dei dati emersi da uno studio della Fondazione Libellula su un campione di oltre 11mila lavoratrici fra dicembre 2023 e gennaio 2024 dedicato a Lavoro, Equità, Inclusione (si intitola L.E.I. 2024).
Il 70% delle lavoratrici ha subito molestie su lavoro
I dati restituiscono il quadro di un mondo del lavoro in cui il gender gap persiste sia sul fronte degli stipendi più bassi e delle minori possibilità di carriera, sia a livello culturale (comportamenti scorretti, scarsa inclusività, ma anche stereotipi che limitano concretamente la carriera femminile). Infine, sono frequenti vere e proprie molestie: il 70% delle intervistate dichiara di averne subite, il 40% riferisce di contatti fisici indesiderati, il 27% di vere e proprie avance.
Stipendi e avanzamenti di carriera
Partiamo dalle metriche base del mondo del lavoro. Il 60% delle lavoratrici dichiara di avere stipendi più bassi dei colleghi uomini a pari mansioni, l’82% rileva che in azienda gli uomini crescono professionalmente in modo più veloce, nel 90% dei casi il contesto lavorativo è caratterizzato da leadeship al maschile.
Quindi, concretamente: gli uomini fanno più carriera, rappresentano la stragrande maggioranza della dirigenza, guadagnano di più. Il 75% delle intervistate dichiara di essere stata penalizzata in termini di possibilità di avanzamenti da periodi caratterizzati dal lavoro di cura in famiglia, in primis la maternità. Il gap retributivo è più evidente fra le madri con figli sotto i tre anni.
Comportamenti discriminatori
Tutto questo ha impatto su una serie di dinamiche definibili come discriminatorie. Se una donna adotta schemi “maschili”, ovvero dimostra ambizione o assertività, nel 65% è considerata aggressiva. Negli ambienti di lavoro circola l’idea che le donne non abbiano skill di leadership e siano meno competenti dei colleghi maschi. I settori in cui questo avviene più frequentemente: Comunicazione/Marketing, Legale, Sanità, Turismo/Ristorazione.
Più di una donna su due viene interrotta più frequentemente dei colleghi in riunione (manterrupting), un’analoga percentuale modifica il proprio abbigliamento per evitare di essere messa in imbarazzo (questo succede più frequentemente fra le più giovani e fra le single), il 64% fa la stessa cosa invece per sentirsi più sicura di se stessa (qui però non ci sono evidenze sulle motivazioni, cioè non è chiaro se sia un bisogno che nasce sempre da una sensazione di disagio o se invece intervengono altri fattori).
Il gap cresce con gli avanzamenti di carriera
Un’evidenza rilevante riguarda la considerazione che fare carriera non mette al riparo né dalle penalizzazioni né dalle molestie vere e proprie. Il gap retributivo è più frequente (il 75% delle dirigenti ha stipendi inferiori ai colleghi pari grado, l’88% rileva che gli uomini fanno carriera più velocemente).
La percentuale di donne che hanno subito contatti fisici indesiderati fra le dirigenti è più alta (47%, vs 40% delle lavoratrici), e fra le imprenditrici sale ulteriormente al 54%. E sono più alti anche i dati relativi a battute sessiste, commenti sgraditi, avance.
La survey formula due ipotesi per spiegare l’aumento delle situazioni discriminatorie fra le donne in carriera: è possibile che siano maggiormente consapevoli, e di conseguenza in grado di definire più lucidamente la situazione che vivono. Ma non si esclude che, proprio occupando posizioni che storicamente erano appannaggio degli uomini, vengano “rimesse al loro posto” tramite comportamenti che le depotenziano, le sminuiscono o le oggettificano.
Il dibattito è aperto. Intanto sottolineiamo che quello della consapevolezza è senz’altro un problema: quasi una donna su due non ha mai chiesto un aumento: in alcuni casi (il 31%) perché lavora in aziende che propongono autonomamente incrementi della retribuzione. Più spesso con altre motivazioni (pensano che sia il datore di lavoro a dover agire in questo senso, ma anche per motivi legati all’imbarazzo o al timore che la richiesta venga valutata negativamente).