L’agenzia S&P ha confermato il rating BBB/A-2 per l’Italia con outlook stabile, nell’ambito dell’ultima revisione del merito di credito dei vari paesi dell’Eurozona. In attesa del giudizio di Moody’s e Fitch, Standard & Poor’s non declassa dunque il nostro Paese, che si conferma attratttivo per gli investimenti.
La valutazione tutto sommato positiva dovrebbe influenzare anche una progressiva riduzione dello spread tra il BOT a 10 anni italiano ed il Bund tedesco.
Il giudizio S&P sul rating dell’Italia
La valutazione S&P considera sia lo scenario globale di incertezza economica esacerbato dalle politiche monetarie della BCE, sia le stime di rallentamento per la crescita del PIL nel 2023-2024.
Il risanamento del bilancio sarà più graduale di quanto previsto a causa del rallentamento economico […] Entro il 2025 la crescita del Pil reale dell’Italia tornerà al di sopra dell’1%, aiutata dall’accelerazione nell’implementazione dei fondi Next Generation Eu, che a nostro avviso probabilmente si estenderà oltre il 2026.
Nel suo giudizio, S&P aggiunge anche:
Potremmo aumentare i rating se la performance di bilancio migliorasse, ad esempio grazie all’attuazione di politiche di riduzione del deficit o a una crescita economica più forte del previsto, portando a un calo del debito pubblico in percentuale del PIL.
In ultima analisi, si conferma il rating BBB/A-2 con outlook stabile.
La fotografia del nostro Paese
L’Italia è aperta e ricca ma sta sperimentando tendenze demografiche che hanno implicazioni di finanza pubblicha e per la crescita economica. Mentre il debito pubblico è elevato, il debito del settore privato non finanziario (famiglie più imprese) è tra i più bassi del G7 (pari al 106% del PIL alla fine del primo trimestre del 2023). Approfittando dell’intensificazione del risparmio del settore privato, il Dipertimento del Tesoro italiano si sta sempre più orientando ai mercati retail (piccoli investitori privati).
Le stime sulla crescita e gli ostacoli da superare
S&P prevede che la crescita rallenterà allo 0,9% nel 2023, leggermente al di sopra dell’obiettivo del governo dello 0,8%. L’impatto dello shock inflazionistico e dell’inasprimento delle condizioni creditizie persisterà nel 2024, prima che la crescita economica riprenda oltre l’1% nel 2025.
Il pacchetto di misure di sostegno pianificato dal Governo (1,2% del PIL) compenserà solo parzialmente l’impatto dell’inflazione sui consumi privati. Inoltre, le restrizioni all’incentivo fiscale “Superbonus” sulle ristrutturazioni domestiche avranno un duro impatto sul settore delle costruzioni.
Condizioni di finanziamento più restrittive, aumento del risparmio privato e prospettive di crescita più cupe in Europa contribuiscono a un calo delle esportazioni nette, che porterà a un’ulteriore decelerazione dell’attività economica allo 0,7% nel 2024.
Entro il 2025, però, si prevede che il PIL italiano recupererà al di sopra dell’1% trainato dai maggiori consumi dovuti alla decelerazione della corsa inflazionistica, dai progetti finanziati da NGEU, dai benefici derivanti dall’impatto di una politica monetaria che S&P auspica possa diventa neutrale. Fondamentale per questo risultato sarà l’erogazione dei fondi NGEU, che per S&P si estenderanno probabilmente oltre il 2026. Dopo mesi di negoziati, l’UE ha erogato la quasi totalità della terza tranche attesa da tempo (18,5 miliardi di euro), lasciando i restanti 500 milioni di euro vincolati alle milestones nella prossima revisione PNRR.
Il mercato del lavoro rimarrà resiliente, seppur con un leggero aumento della disoccupazione nel 2023 e nel 2024. Un rallentamento economico più grave o una stretta monetaria persistente, tuttavia, potrebbero indebolire queste previsioni. La disoccupazione rimarrà in media al 7,8% nel periodo 2023-2026. Le misure di sostegno durante la pandemia e la crisi energetica hanno contribuito a proteggere l’occupazione.
La resilienza energetica dell’Italia dovrebbe rafforzarsi. Il Paese è riuscito a diversificare le forniture ed ora quelle di gas russo sono ridotte al 10%. Tuttavia, circa l’80% dell’approvvigionamento energetico viene ancora importato e solo il 19% deriva da fonti rinnovabili. Si tratta di una vulnerabilità che i fondi NGEU destinati alla transizione verde (37% della dotazione totale) dovrebbero contribuire a ridurre.