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Fallimento d’impresa, tutele per i dipendenti sul mancato TFR accantonato nel fondo pensione

di DLA Piper Italia

Pubblicato 3 Luglio 2023
Aggiornato 2 Luglio 2024 09:06

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Nuova sentenza della Cassazione legittima l’insinuazione al passivo in caso di fallimento del datore di lavoro sul mancato versamento delle quote di TFR alla previdenza complementare. Analisi DLA Piper*

Con la Sentenza 8 giugno 2023, n. 16266, la Corte di Cassazione (Prima Sezione Civile) ha reso un’interessante pronuncia in tema di (mancati) versamenti a fondi di previdenza complementare da parte di imprese in fallimento, con il conseguente diritto dei lavoratori (danneggiati dai suddetti mancati versamenti) di insinuarsi al passivo (nella relativa procedura fallimentare) al fine di ottenere un ristoro dei propri diritti.  Come si legge nella sentenza:

In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di Tfr maturate e accantonate ma non versate al fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore […]. 

Questo perché, come vedremo nell’analisi della sentenza, la destinazione delle quote di TFR al fondo pensione si configura come un conferimento all’azienda e non come una cessione del credito futuro al fondo al fondo.

Da qui, il diritto del lavoratore ad insinuarsi al passivo dell’azienda fallita.

TFR destinato al fondo pensione 

La vicenda vede sullo sfondo la scelta del lavoratore di conferire il TFR maturando alle forme pensionistiche complementari e il fallimento dell’impresa datrice di lavoro la quale, tra le altre, ha omesso di versare in tutto o in parte tali somme al fondo pensionistico designato.

Da qui, la decisione di ricorrere in giudizio, per insinuarsi allo stato passivo (ex art. 2751-bis c.c.) dell’azienda posta in procedura fallimentare e far valere il diritto a riscuotere il proprio credito. Nella prima fase di merito, tuttavia, il Giudice delegato al fallimento aveva escluso dallo stato passivo il suddetto credito per difetto di legittimazione attiva del lavoratore.

Delegazione di pagamento o cessione di credito futuro?

A supporto di tale decisione, una disamina dello strumento negoziale tramite cui il lavoratore aveva incaricato l’azienda di versare le quote di TFR al fondo previdenziale scelto: delegazione di pagamento o cessione di credito futuro? Nel primo caso vi sarebbe legittima possibilità di insinuarsi al passivo e nel secondo caso, invece, no.

Il parere iniziale del Tribunale

Nel rigettare l’insinuazione del lavoratore, il Giudice designato ha osservato che

anche accendendo alla tesi secondo cui la sussistenza della legittimazione del lavoratore ad insinuare al passivo il TFR conferito (e non versato dal datore di lavoro al fondo previdenziale) dipende dallo strumento negoziale prescelto dalle parti (delegazione di pagamento o cessione del credito futuro – opzione interpretativa che appare comunque incompatibile con l’espressione utilizzata dal legislatore in quanto la parola “conferimento” implica il trasferimento del diritto” e, nel caso di specie, a parer del Tribunale, l’istante non avrebbe “documentato lo strumento giuridico attraverso cui il TFR è stato conferito, onere che non può ritenersi gravante sulla curatela fallimentare perché afferente alla posizione soggettiva invocata dal lavoratore e perché il curatore è terzo rispetto al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro fallito”.

A fronte di tali osservazioni motivanti, di fatto, l’esclusione dallo stato passivo, il dipendente ha proposto opposizione a detta decisione ex art. 98 della legge fallimentare, deducendo che, “non avendo il curatore fornito prova – (onere a suo carico) – della specifica indicazione del modulo negoziale (se delegazione o cessione) tramite allegazione, per ogni singolo lavoratore, del modulo negoziale, al fine di contestare la legittimazione attiva, lo strumento giuridico prescelto dal lavoratore per il conferimento del TFR al Fondo era da intendersi quale delegazione di pagamento, con conseguente legittimazione attiva del lavoratore” a proporre l’insinuazione al passivo e, in subordine, ha proposto “domanda di ammissione del credito in surroga del Fondo di previdenza complementare”.

Il (nuovo) Giudice competente ha però rigettato anche l’opposizione, confermando di fatto la prima decisione e affermando che:

  • nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, il soggetto creditore nei confronti della procedura fallimentare, e quindi legittimato ad insinuarsi al passivo del fallimento, sia unicamente il Fondo al quale il TFR è stato conferito dal lavoratore”, salva la possibilità di agire in via surrogatoria, in caso di inerzia del Fondo, ex art. 2900 c.c.;
  • ai sensi del d.lgs. n. 252/2005, art. 8, commi 7-10, e art. 11, deve ritenersi che il lavoratore, con il “conferimento” volontario del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare, “attua una vera e propria cessione del relativo diritto” al Fondo;
  • questa tesi sarebbe coerente con la circolare Inps n. 23/2008 – in base alla quale “ai fini dell’intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l’accertamento dell’esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l’intervento del Fondo, e ciò mediante l’ammissione del credito nello stato passivo della procedura – poiché il riferimento all’ammissione al passivo del lavoratore dovrebbe intendersi in via surrogatoria, per il caso di inerzia del Fondo complementare”;
  • ove si riconoscesse la legittimazione attiva del lavoratore, la sua ammissione al passivo, “in caso di utile riparto, determinerebbe un’inammissibile monetizzazione anticipata dell’accumulo previdenziale, in palese contrasto con le previsioni di cui al d.lgs. n. 252/2005”.

Avverso tale articolata decisione, il dipendente ha proposto ricorso per Cassazione.

Il giudizio finale della Cassazione

Dopo un approfondito inquadramento della fattispecie, i Giudici di legittimità hanno affermato che “l’aspetto più delicato della disciplina delle forme pensionistiche complementari riguarda proprio il “conferimento” del TFR maturando, poiché, nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia accantonato il TFR conferito al Fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare … quale sia il soggetto legittimato ad insinuare allo stato passivo la corrispondente pretesa creditoria, anche alla luce della previsione dell’intervento dell’apposito Fondo di Garanzia dell’Inps, in caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale, con diritto di surrogazione al lavoratore, a norma dell’art. 5, commi 2 e 3, d.lgs. 80/1992”.

Il nodo da sciogliere è dunque se la legittimazione attiva ai fini dell’insinuazione al passivo, per le quote del TFR conferite a un Fondo di previdenza complementare –accantonate, ma non versate dal datore di lavoro medesimo – spetti al dipendente, ovvero al Fondo di previdenza complementare.

I motivi che legittimano i diritti del lavoratore

Ad avviso del Collegio, merita conferma “l’impostazione per cui occorre verificare se il “conferimento” del TFR si sia concretamente tradotto in una vera e propria cessione, ovvero in una delegazione di pagamento ai sensi dell’art. 1270 c.c., poiché, in caso di fallimento, il contratto di mandato – quale è la delegazione di pagamento – si scioglie (art. 78, comma 2, l.fall.)”.

Ciò anche in considerazione del fatto che il sistema della previdenza complementare è sottratto al principio dell’automaticità delle prestazioni.

I Giudici hanno osservato che dal testo dell’art. 5, d.lgs. 80/1992 “emerge chiaramente che il lavoratore ha diritto di vedere soddisfatte le proprie pretese in sede concorsuale e che, in caso di insoddisfazione totale o parziale nell’ambito della procedura di riferimento, può chiedere l’intervento del Fondo di garanzia per integrare presso il Fondo complementare i contributi non versati dal datore di lavoro”.

Si tratta dunque di un diritto che compete inizialmente al lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

Tale interpretazione è avvalorata ancor più chiaramente dalla circolare Inps n. 23/2008 ove “ai fini dell’intervento del Fondo di Garanzia il lavoratore deve ottenere l’accertamento dell’esistenza di uno specifico credito relativo alle omissioni contributive per le quali si chiede l’intervento del Fondo, e ciò mediante l’ammissione del credito nello stato passivo della procedura”.

TFR al fondo pensione: conferimento e non cessione di credito futuro

Alla luce di tutto ciò, la Cassazione ha nettamente confutato l’interpretazione resa dal Tribunale in sede di opposizione (che ha sostenuto che «attraverso il “conferimento” volontario, … da parte del lavoratore (…) del TFR maturando ad una forma di previdenza complementare, si attua una vera e propria cessione del relativo diritto …»).

Ebbene, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, a parer della Cassazione. “l’utilizzo, nell’art. 8, d.lgs. n. 252 del 2005, di un’espressione atecnica e omnicomprensiva, quale “conferimento”, può essere letto come elemento sintomatico della volontà del legislatore di favorire l’autonomia privata nell’ambito della previdenza complementare (rispetto a quella obbligatoria), consentendo la libera selezione dello specifico strumento negoziale tramite cui effettuare il finanziamento del Fondo previdenziale, il quale può quindi estrinsecarsi non solo in una delegazione di pagamento (con mandato del lavoratore al proprio datore di lavoro di versare le quote di TFR al Fondo), ma anche in una cessione al Fondo del credito futuro per quote di TFR”.

Quale immediata conseguenza, ne deriverebbe necessità di ricostruire la volontà delle parti, accertando, dunque, “se il conferimento del TFR sottenda una delegazione di pagamento (art. 1268 cod. civ.) ovvero la cessione di un credito futuro (art. 1260 cod. civ.), poiché si tratta di una qualificazione che incide sulla titolarità del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa”.

In merito, “il contesto normativo di riferimento, e in particolare l’art. 5, d.lgs. 80/1992 lascia presumere che il “conferimento” in parola mantenga ferma la legittimazione attiva del lavoratore, dovendosi perciò in linea di principio interpretare (anche in ragione del favor lavoratoris) come mera delegazione di pagamento – destinata a sciogliersi con il fallimento, a norma dell’art. 78, comma 2, legge fall. – salvo che dai documenti prodotti dalle parti a supporto, rispettivamente, della domanda e della eventuale eccezione di difetto di legittimazione attiva, o comunque dall’istruttoria svolta, emerga che si sia trattato di una vera e propria cessione di credito, con conseguente trasferimento del relativo diritto al Fondo complementare, da cui consegue la legittimazione attiva di quest’ultimo”.

Conclusioni

Quale conclusione dell’ampia disamina giuridica, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del dipendente, ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di previdenza complementare, il generico riferimento, contenuto nell’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 252/05, al «conferimento» del Tfr maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilità che le parti, nell’esplicazione dell’autonomia negoziale loro riconosciuta dall’ordinamento, pongano in essere non già una delegazione di pagamento (articolo 1268 Cc) bensì una cessione di credito futuro (articolo 1260 Cc).

 In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di Tfr maturate e accantonate ma non versate al fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall’istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell’articolo 93 Lf.


* A cura di: Fabrizio Morelli, Partner, Responsabile del Dipartimento di Diritto del Lavoro, DLA Piper; Davide Maria Testa, Avvocato DLA Piper.