Tra le spese di rappresentanza e spese di pubblicità corre una sottile linea di demarcazione che da sempre affligge le imprese. Sebbene appartengano alla stessa famiglia di costi, in base al tipo di spesa sostenuta cambia l’aspetto normativo delle imposte dirette e dell’IVA. Pertanto, è utile chiarire quali costi sono riconducibili alla prima tipologia e quali alla seconda. Di certo, è impossibile definire concetti normativi statici che individuino la totalità dei casi di spesa in azienda e che diventino, per definizione, un riferimento assoluto ed esaustivo. Tuttavia, cerchiamo di chiarire gli avvenimenti più significativi che coinvolgono l’attività aziendale.
Spese di rappresentanza
Le spese di rappresentanza sono tutte quelle spese sostenute per acquisto di gadget e beni distribuiti gratuitamente, anche se recano emblemi, denominazioni o altri riferimenti necessari a distinguerli come prodotti d’impresa. E comunque funzionali all’immagine esterna della società. Qualche Esempio? Omaggi di fine anno, regali vari, pranzi con clienti, fornitori, agenti e rappresentanti, generi di conforto per ospiti ricevuti, rinfreschi in occasione di cerimonie, inaugurazioni o manifestazioni istituite dalla società, costi per l’organizzazione di meeting presso località turistiche e tutte quelle spese necessarie a mantenere o accrescere il prestigio dell’impresa migliorandone l’immagine.
Pertanto, rientra fra le spese di rappresentanza qualunque costo sostenuto per l’acquisto di beni ceduti senza il presupposto di un corrispettivo o di una controprestazione. Da precisare però che, per determinare se le spese di rappresentanza e pubblicità siano o meno deducibili, è necessario verificare la loro inerenza, ovvero l’effettiva finalità dei costi sostenuti e la loro diretta imputabilità all’esercizio => leggi le precisazioni della Cassazione sulla deducibilità delle spese di rappresentanza.
A dire il vero, non possono considerarsi spese di rappresentanza tutti i beni che vengono ceduti gratuitamente. Pensiamo ai free goods (promozione che prevede la consegna della merce in quantità superiore a quella effettivamente ordinata e pagata), ai free samples (distribuzione gratuita di campioni del prodotto da promuovere), money-off vauchers (distribuzione ai potenziali clienti di buoni per l’acquisto di formati-prova o riduzioni sul prezzo dei formati ordinari di un determinato prodotto.
Anche i cosiddetti fidelity prize – sconti praticati al raggiungimento di un determinato obiettivo, frequentemente individuato nel fatturato annuo – non possono essere aggregati alle spese di rappresentanza ma vanno contabilizzati nel dare del conto economico fra le voci Abbuoni e sconti.
Qualora tali promozioni dovessero prendere in considerazione due o più anni, alla fine di ogni esercizio contabile sarà necessario accantonare l’importo di competenza, determinato in base alla percentuale di ritorno degli sconti, in un particolare fondo aggregato al passivo dello stato patrimoniale.
C’è anche il caso del self-liquidating promotion, tecnica promozionale attraverso cui l’azienda offre ai propri clienti articoli costosi a prezzi scontati. Questo sistema, ovviamente, non può rientrare fra le spese di rappresentanza poiché rappresenta una forma di marketing concept attraverso cui l’operazione promozionale si paga da sola tramite il ricavo delle vendite. Per questo, l’azienda non ha alcun costo.
Il medesimo principio vige per le vendite definite a prezzo di costo dove l’azienda venditrice riesce a commercializzare un prodotto allo stesso costo di acquisto grazie alle vantaggiose condizioni finanziarie proposte dall’azienda produttrice per cui, pur vendendo al prezzo di acquisto, è possibile recuperare un margine di utile.
Spese di pubblicità
Sono le spese sostenute per realizzare un’azione di direct marketing rivolta indistintamente alla collettività (e ovviamente a un target group ragionevolmente ampio) al fine di aumentare la vendita del prodotto reclamizzato (misurabile con l’advertising to sale ratio) o comunque per presentare l’azienda al mercato (si pensi a un advertisement radiofonico o al materiale divulgativo – i cosiddetti give away – distribuito gratuitamente ai consumatori). Forme di comunicazione diverse dalla pubblicità possono essere le promozioni, le sponsorizzazioni e le pubbliche relazioni. Le spese sostenute dall’impresa in occasione di fiere vengono considerate spese di pubblicità in quanto sono uno strumento di promozione delle vendite. Invece, non costituiscono spese di rappresentanza nè di pubblicità tutti quei costi sostenuti, sempre in occasione di fiere, per viaggi e alloggi dei clienti invitati, in quanto mirano a ottenere la conclusione di contratti di vendita.
Le spese di pubblicità a carattere pluriennale possono essere iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale con il consenso del collegio sindacale.
Il sistema gestionale, di fronte alle spese di pubblicità che dovranno essere capitalizzate, metterà a disposizione dell’utente una maschera che consentirà la ripartizione della spesa per il numero degli anni specificati. Alcune versioni consentono di ripartire il costo annuale in dodicesimi in modo da permettere lo sviluppo di bilanci mensili.
L’inserimento dei dati nella maschera relativa alla capitalizzazione dei costi viene fatta contestualmente alla registrazione contabile. Dopo avere completato la scrittura contabile, infatti, il sistema visualizzerà la finestra relativa alla capitalizzazione e guiderà l’utente nella corretta procedura di rateizzazione della spesa su più esercizi.
In tal modo la possibilità di errore viene ridotta al minimo. Sarà, quindi, cura del sistema contabile prendere in considerazione la sola quota di competenza dell’esercizio corrente rimandando le altre ai relativi esercizi attraverso una procedura batch che genererà la registrazione contabile.
Reddito d’impresa
Ai sensi del comma 2, articolo 74 del TUIR, le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state assunte o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.
Per quanto riguarda, invece, le spese di rappresentanza sono ammesse in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare in quote costanti nell’esercizio in cui sono state assunte e nei quattro successivi. Queste limitazioni non si applicano nel caso in cui il costo unitario sia inferiore a 25,82 euro.
Resta inteso che, al fine di ottenere la deducibilità, tali spese devono rispondere ai requisiti di inerenza e congruità. Per definizione, per essere deducibile è necessario che un costo risponda ai principi di competenza (in merito al periodo il cui costo si riferisce), certezza (esistenza stessa del costo), oggettiva determinabilità (individuazione dell’ammontare), inerenza (relazione con l’attività d’impresa). Sono considerate ugualmente deducibili le spese relative agli omaggi purché di importo unitario inferiore a 50 euro.
Casistiche completamente diverse sono gli omaggi ai dipendenti. Tali costi, infatti, sono aggregati a quelli del personale quindi deducibili, e non costituiscono reddito per il dipendente: tra questi troviamo gli omaggi fatti in determinate festività o occasioni (la nascita di un figlio ad esempio). Per essere cosniderati tali, gli omaggi devono essere compresi nel limite di 258,23 euro. In alternativa costituiscono reddito per il dipendente.
Può accadere che l’azienda in sede di approvazione di bilancio, organizzi una cena presso un locale pubblico. In tal caso il costo del locale viene considerato interamente deducibile (l’azienda, infatti, potrebbe non avere locali in grado di ospitare quel determinato numero di persone o comunque inagibili e da qui l’esigenza di utilizzare locali esterni all’azienda).
Quanto, invece, al costo della cena, ovviamente rimane indeducibile!
Infine, è possibile detrarre l’IVA in tutte quelle spese di rappresentanza che abbiano un importo unitario inferiore a euro 25,82 => Leggi di più sulle detrazioni fiscali.