Le piccole imprese italiane con meno di 5 milioni di euro di fatturato versano più imposte rispetto alle multinazionali del Web presenti sul territorio.
A fare un confronto è l’Ufficio studi della CGIA, sottolineando come i piccoli imprenditori italiani abbiano pagato 19 miliardi in più: nel 2020 le PMI hanno versato 19,3 miliardi di euro, nel 2021 le filiali italiane dei principali gruppi mondiali di web e software 186 milioni di euro.
Il popolo delle Partite IVA, quindi, versa un ammontare complessivo di tasse 104 volte superiore rispetto ai principali giganti del settore del WebSoft. A livello europeo, inoltre, solo la Germania applica alle imprese un’aliquota fiscale superiore a quella italiana.
Se il livello medio di tassazione delle big tech è al 33,5% (secondo l’Area studi di Mediobanca), nelle piccole realtà nazionali si aggira attorno al 50%, in pratica quasi il doppio. Un divario dovuto al fatto che, per le controllate presenti in Italia, il 30% dell’utile ante imposte è tassato nei Paesi a fiscalità agevolata.
Come afferma la CGIA, una prima soluzione alla mancata “trasparenza” fiscale di queste società tecnologiche potrebbe arrivare dall’applicazione di una minimum tax con aliquota al 15% in capo alle multinazionali che generano fatturati oltre i 750 milioni di euro.
Una direttiva europea ad hoc entrerà in vigore nel 2024 proprio per fare in modo che i grandi gruppi versino un carico fiscale effettivo minimo, mentre la decisione di eliminare definitivamente l’IRAP per le imprese private, secondo la CGIA, rischierebbe di avvantaggiare le grandi multinazionali che fanno utili milionari in Italia, versando le imposte sul reddito di impresa nei Paesi a fiscalità di vantaggio.