Il regime fiscale agevolato dei forfetari non è accessibile al contribuente che riceve una pensione di vecchiaia da oltre 30mila euro e riconducibile ai redditi di lavoro dipendente, anche se esentasse in Italia.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risposta risposta n. 311 del 3 maggio 2023 a specifico interpello sottoposto da un contribuente con residenza nella UE.
Come ha spiegato l’Amministrazione finanziaria, anche stabilendo la la residenza fiscale nel territorio dello Stato italiano ed aprendo nel nostro Paese una partita IVA, se il reddito da pensione supera la soglia massima consentita dei 30mila euro allora non è possibile godere della flat tax dei forfettari.
Questo, anche se la pensione percepita non è soggetta a imposta italiana (in questo caso, per immunità dell’Unione Europea sulle pensioni degli ex dipendente della Commissione UE).
La causa ostativa individuata dall’Agenzia delle Entrate è riassunta nell’articolo 1, comma 57, lettera d-ter) della legge n.190/2014, in base al quale il regime forfetario è escluso per i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati oltre l’importo di 30.000€ (articolo 1, comma 692, lettera d) legge di Bilancio 2020).
Citando la circolare n. 10/2016, il Fisco ricorda che l’esclusione dal regime forfetario riguarda anche i titolari di “redditi “astrattamente riconducibili a quelli di lavoro dipendente e assimilati (articoli 49 e 50 Tuir), indipendentemente dalla loro tassazione in Italia o dall’importo delle imposte corrisposte”.
In pratica, manca uno dei requisiti chiave per poter accedere alla flat tax dei forfettari (che per i primi cinque anni di attività a Partita IVA con i requisiti del regime forfettario è al 5%), se esistono redditi riconducibili a quelli da lavoro dipendente che superano il tetto massimo consentito (articolo 49, comma 2, lettera a) Tuir), anche se esenti da imposte in Italia.