Il ritorno al rito ordinario per le cause contro il licenziamento con richiesta del reintegro elimina il doppio binario che era stato introdotto dal rito Fornero.
«Era una sorta di quarto grado di giudizio, che si concludeva con ordinanza» che poi magari veniva impugnata. La nuova negoziazione assistita è utile a risolvere le controversie senza andare in tribunale, con lo stesso valore di non impugnabilità, e garantisce riservatezza. Fabrizio Morelli, partner DLA Piper, riassume così la ratio dei due principali strumenti che sono stati introdotti nel rito del lavoro con la Riforma Cartabia.
Le due novità contenute nella legge 149/2022 sono in vigore dal primo marzo 2023. L’interrogativo principale è come riusciranno ora a funzionare nella pratica. Analizziamole nel dettaglio, attraverso la nostra intervista a Fabrizio Morelli.
Come funziona il rito unificato
Partiamo dal rito unificato. Era stata la Riforma del Lavoro Fornero (legge 92/2012) a introdurre, per le sole cause relative all’impugnazione del licenziamento e richiesta di reintegro nel posto di lavoro, un rito abbreviato. Il problema è che questo istituto, pensato per velocizzare le controversie, non ha funzionato bene.
«A livello concettuale – sottolinea il legale di DLA Piper – in qualche mese si poteva ottenere un’ordinanza di reintegra». Ma dopo il primo giudizio, che si concludeva con ordinanza, arrivava l’impugnazione, che portava a un ulteriore giudizio. «La fase iniziale è diventata una sorta di quarto grado di giudizio, il primo grado di quattro». Fra l’altro, la legge presentava anche una seconda anomalia, nel senso che si applicava solo agli assunti prima del 7 marzo 2015, tutelati quindi dalla vecchia formulazione dell’articolo 18, non ai contratti a tutele crescenti (perché non hanno il diritto a reintegro).
Ora torna per tutte le richieste di reintegro la procedura ordinaria del diritto del lavoro, con la novità che sono sono previste regole per renderla più veloce. «Il giudice ha il dovere di dare la priorità alle cause con reintegra. E deve gestire le udienze perché siano più celeri», e istruite in un periodo temporale inferiore. Ora «bisogna vedere se operativamente si riuscirà a operare queste semplificazioni», e soprattutto capire se le novità introdotte riusciranno effettivamente a centrare l’obiettivo di velocizzare le cause.
Digitalizzazione dei processi
Su questo fronte ci sono delle novità, ad esempio «è stata introdotta la possibilità di svolgere una serie di attività in maniera telematica. Tutti gli atti vanno notificati telematicamente, mentre con il regime previgente gli atti introduttivi potevano essere cartacei. Adesso invece tutti gli atti devono essere notificati in forma telematica, anche questo dovrebbe ridurre i tempi, vista l’immediatezza della notifica». In secondo luogo, «c’è un’abbreviazione dei termini, relativi sia al deposito, che alla notifica, che alla costituzione del convenuto. In alcuni casi questi termini vengono ridotti della metà». Tre esempi:
- tra deposito e udienza, la norma prevede un massimo di 60 giorni, che possono essere ridotti dal giudice a 30 giorni;
- fra notifica e udienza, devono decorrere 30 giorni, riducibili a 20;
- il termine per la costituzione del convenuto, ridotto a 5 giorni.
Infine, c’è una norma che prevede una sorta di monitoraggio del tribunale sulla durata media dei processi del lavoro, per verificare il rispetto delle tempistiche previste.
I pro e i contro del rito unificato
Secondo Morelli il ritorno al rito unificato è una modifica che «va accolta con favore, risponde a un’esigenza di razionalizzazione, che era contenuta anche nella delega del parlamento. Elimina la specialità (il rito abbreviato Fornero, ndr) che non si giustificava in relazione ai risultati che aveva perseguito. Prevede il ritorno a un unico procedimento, ben consolidato, che ha dato prova di efficienza». Qui c’è una considerazione: «il processo del lavoro è stato introdotto 50 anni fa. Ha sempre funzionato, anche meglio di molti altri riti». Quindi, «il ritorno al rito ordinario penso che sia un risultato positivo. Adesso bisogna vedere come sarà gestito».
Come funziona la negoziazione assistita
E passiamo alla negoziazione assistita, altra novità della Riforma Cartabia. Si tratta di uno strumento che è già utilizzato per esempio in materia di cause civili, e che ora viene esteso alle cause di lavoro. «Nel diritto del lavoro è un’assoluta novità – sottolinea Morelli -, e realizza gli stessi effetti degli accordi che normalmente venivano conclusi in sede protetta», come gli accordi sindacali, o presso uffici dell’ispettorato del lavoro. «L’effetto principale è l’equiparazione dell’accordo fra le parti con le conciliazioni intervenute in sede protetta».
Anche qui, per capire se e come verrà usato e risulterà efficace bisogna aspettare i dati sull’attuazione. Nel frattempo, vediamo con precisione come funziona. E’ una possibilità di conciliazione che non sostituisce gli altri strumenti già esistenti, e non è neppure un pre requisito o uno strumento pregiudiziale al ricorso. «E’ uno strumento alternativo, lasciato alla facoltà delle parti». Il punto fondamentale è che l’accordo raggiunto «non è più impugnabile, e vale come titolo esecutivo». Prevede un iter piuttosto complesso, che in ogni caso deve durare al massimo tre mesi.
La negoziazione assistita si attiva «su impulso delle parti», quindi «una delle due convoca l’altra e chiede se è intenzionata a risolvere la controversia in base a principi di buona fede e lealtà sulla base di una convenzione». In pratica «il primo atto, che non è obbligatorio, normalmente è una convocazione. Un invito a risolvere la controversia».
Questo invito può essere accettato o meno. «La norma prevede che un eventuale rifiuto possa essere valutato dal giudice ai fini della liquidazione delle spese».
Le fasi della negoziazione assistita
In ogni caso, perchè la negoziazione prosegua è necessario che le parti siano d’accordo sull’intraprendere questa strada. Il primo atto fondamentale è stipulare la convenzione di negoziazione. «È un accordo che fissa i termini della negoziazione: deve contenere elementi precisi, come l’oggetto della contorversia, il termine entro il quale la negoziazione deve risolversi». In pratica, questo documento contiene tutti gli elementi che identificano il perimetro della controversia e della negoziazioni.
«La convenzione può poi contenere elementi accessori, e qui ci sono le novità più importanti, che differenziano questo strumento dagli altri». Fra gli elementi accessori che possono essere previsti: svolgere un’istruttoria nella negoziazione, cioè ascoltare e assumere informazione da terzi soggetti, oppure sollecitare la confessione della controparte. «E’ una fase istruttoria senza il giudice. Gli avvocati ascoltano testimoni, raccolgono dichiarazioni. I testimoni non possono dichiarare il falso, c’è una responsabilità penale». In definitiva, è prevista una gestione dell’istruttoria molto simile a quella che verrebbe svolta dal giudice. «Consente alle parti di capire se è opportuno o meno andare in tribunale, di definire i contorni della controversia e le chance di successo».
La negoziazione si svolge quindi secondo le modalità definite, e deve portare a un accordo finale che terrà conto di tutti gli elementi emersi. Come detto, può durare al massimo tre mesi. A quali situazioni va incontro questo strumento: «l’ipotesi più plausile è che venga utilizzato quando le parti sanno già che ci sono margini per raggiungere l’accordo. Non conviene se non si ha già l’idea di poter arrivare a un accordo: presuppone dispendio di energie, rappresenta un condizionamento per un giudizio futuro».
L’iter si conclude con un ultimo passaggio, rappresentato dalla trasmissione dell’accordo. Viene sottoscritto dalle parti, con la firma degli avvocati, e trasmesso alla commissione che attribuisce la esecutività dell’accordo.
I pro e i contro della negoziazione assistita
Morelli teme che i tre mesi della negoziazione non siano un arco temporale sufficiente per mettere in pratica la fase istruttoria sopra descritta. Ma si tratta comunque di una possibilità nuova per due parti che vogliono mettersi d’accordo senza avviare atti formali davanti a un giudice. La possibilità fra due parti di raggiungere un accordo privato c’era anche prima, intendiamoci. Ma questi accordi o sono impugnabili oppure vanno formalizzati in sede protetta (organi pubblici, commissione di conciliazione sindacale). Prevedono quindi una doppia fase, prima l’accordo privato e poi la formalizzazione. «La negoziazione assistita evita questa doppia fase: una volta raggiunto l’accordo, diventa definitivo. E’ contemplata un’unica ulteriore formalità per diventare esecutivo, la trasmissione a una commissione di certificazione». Sono organismi istituti dalla legge Fornero, che si formano all’interno delle università, e hanno lo stesso potere certificatorio degli ispettori del lavoro».
In ogni caso, una volta raggiunto l’accordo, le parti possono eseguirlo come se fosse una sentenza. Non si può ricorrere contro l’accordo, «c’è una sola possibile impugnazione, per motivi previsti dalla legge: vizi della volontà (dolo, violenza, errore)».
Secondo l’esperto di DLA Piper l’introduzione della negoziazione sistema nelle controversie di lavoro è valutabile positivamente, «si evita il doppio passaggio attraverso organi di conciliazione sindacale, può aiutare soprattutto perchè poi nella negoziazione intervengono professionisti che conoscono la materia e facilitano la soluzione». E’ un strumento adatto in particolare «a gestire controversie individuali. Un pregio che ha è quello relativo alla riservatezza del contenuto. Può avere un’applicazione importante e concreta per gestire le controversie individuali, con questioni delicate dove la riservatezza rappresenta aspetto importante per la conciliazione». Non necessariamente questioni relative alla cessazione del rapporto di lavoro: la negoziazione può riguardare il pagamento di un bonus, e in generale l’esercizio di diritti contestati dalla parte datoriale. «E’ molto flessibile. La finalità è quella di risolvere una controversia».