Il risarcimento riconosciuto dal Giudice del lavoro per l’indebita reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato non è soggetto a tassazione.
Lo ha ribadito la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sottolineando come – sebbene il ristoro del danno subito dal lavoratore sia commisurato alla retribuzione mancata – questo non abbia una funzione sostitutiva del reddito da lavoro e non è assoggettabile a tassazione.
Con la sentenza n. 394/2023, pertanto, la CdG ha riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso delle imposte indebitamente trattenute sulle somme corrisposte dal datore di lavoro. Il comportamento del datore di lavoro genera una perdita di chance intesa come mancata stabilizzazione e ritenuta meritevole di risarcimento del danno, come si legge nell’estratto della sentenza riportato qui di seguito:
È stata attribuita all’interessato (anche) l’indennità risarcitoria prevista dalla legge quale ristoro del danno patito (quantificata in sette mensilità della retribuzione globale di fatto). Quest’ultimo va qualificato quale danno emergente, concretizzandosi in una perdita di chance (la stabilizzazione invece della precarietà occupazionale sofferta), rivestendo quindi una natura risarcitoria (peraltro al netto della contribuzione, come precisato dal giudice del lavoro) ed in quanto tale non assoggettabile a tassazione, perché non costituente reddito, anche perché percepita in assenza di una corrispondente controprestazione lavorativa.
A essere stata sottoposta a tassazione, in ultima analisi, è solo l’indennità risarcitoria riconosciuta dal Giudice del lavoro per l’indebita ripetizione di contratti di lavoro a termine.