Per ora è solo un inciampo sulla tabella di marcia, ma contribuisce d alimentare l’impressione, già esistente, di una riforma pensioni del governo Meloni che stenta a decollare.
La battuta d’arresto è rappresentata dallo slittamento al 13 febbraio, dell‘incontro fra Governo e Sindacati nell’ambito della tavolo che si è aperti sulla riforma.
C’è stato un primo vertice generale, il 19 gennaio, che aveva fissato una tabella di marcia già arenata al primo step. Il vertice convocato per l’8 febbraio sul tema della copertura previdenziale di donne e giovani, è stato posticipato su richiesta del Governo. Che, al solito, è alle prese con il nodo delle copertura.
E qui, all’evidenza del primo intoppo si somma l’impressione di un problema strutturale sulla reale possibilità di fare una riforma delle pensioni. Quali che saranno le formule prescelte, bisogna necessariamente che la riforma abbia un bilancio spendibile.
Il nodo Opzione Donna
Fra i primi scogli su cui si è arenato il confronto spicca l’Opzione Donna. I sindacati chiedono una marcia indietro rispetto all’inasprimento dei paletti previsti dalla Legge di Bilancio, tornando ai vecchi requisiti: 58 o 59 anni di età, rispettivamente per dipendenti e autonome, e 35 anni di versamenti, con il ricalcolo contributivo dell’assegno.
L’esecutivo sta valutando questa ipotesi, ma è alle prese con un problema di risorse. Ricordiamo brevemente che l’opzione Donna in Manovra prevede requisito di età a 60 anni al 31 dicembre 2022, scontato di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due anni (quindi, per le donne con due figli la soglia anagrafica è di 58 anni), 35 anni di contributi, e l’appartenenza alle seguenti categorie: disoccupate, caregiver, lavoratrici con invalidità civile almeno al 74%.
L’idea è quindi di tornare ai vecchi contributivi di età e contribuzione, eliminando il restringimento alle sopra citate categorie.
Le risorse per la Riforma pensioni
A rendere più difficile il compito di riforma, una serie di elementi di contesto, come:
- le previsioni macro, in base alle quali la spesa previdenziale sale a 320,8 miliardi nel 2023, dai 297,3 miliardi del 2022, e a 349,7 miliardi nel 2025, anno in cui l’incidenza sul Pil è vista al 16,4%, contro il 15,7% del 2022.
- I conti dell’INPS: l’esercizio 2022 si è chiuso con un attivo di 1,8 miliardi, ma il bilancio preventivo per il 2023 indica un risultato economico negativo di oltre 9,7 miliardi. Questo andamento è in gran parte dovuto al peggioramento del quadro economico, ma risente anche di numeri strutturalmente in crescita. Per esempio, nel 2050 rischia di scendere a 1 il rapporto lavoratori-pensionati. Il presidente dell’Inps ha sottolineato che se oggi ci sono circa 1,4 lavoratori per pensionato, già nel 2029 si scenderà a 1,3 con il serio rischio di arrivare a 1 nel 2050. Una delle risposte che si considerano è la separazione fra previdenza e assistenza, richiesta fra l’altro dai sindacati.
L’iter della Riforma pensioni
In conclusione, sembra ancora tutta in salita la strada per alcuni traguardi centrali della riforma, come le nuove misure di flessibilità in uscita e l’equità delle pensione di giovani, donne, lavoratori con carriere discontinue.
Fra le richieste fondamentali dei sindacati, le pensioni contributive di garanzia per i giovani.
Il tavolo dovrebbe portare alla messa a punto di un piano di riforma pensioni entro l’estate, con l’obiettivo di approvare una legge che entri in vigore nel 2024. In parole semplici, l’obiettivo è quello di fare una riforma pensioni che entri in vigore l’anno prossimo.