Il 5 febbraio è scattata l’applicazione del nuovo pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, che prevede il divieto di importazioni di diesel e benzina nei paesi dell’Unione europea.
Dopo lo stop al petrolio russo dello scorso 5 dicembre, con quello dei prodotti raffinati si temono adesso immediati rincari dei prezzi alla pompa, soprattutto in Italia dove non è stato rinnovato il taglio delle accise sui carburanti.
Vediamo come si sta delineando la situazione, sia per quanto riguarda i prezzi sia per quanto riguarda le forniture e le strategie economiche dei paesi europei – e delle aziende – nei confronti della Russia.
Embargo sui carburanti
Il divieto riguarda i prodotti petroliferi raffinati di origine russa ed il blocco dei servizi finanziari per le navi cargo che trasportano merci russe (ma alle navi che trasportano prodotti già acquistati prima dell’embargo è concesso di terminare le consegne entro marzo).
Resta consentita l’importazione di prodotti acquistati entro i 100 dollari al barile per il diesel e 45 dollari al barile per la benzina. Questo, dunque, il tetto al prezzo del carburante russo deciso dalla UE.
Ad oggi, la dipendenza europea dalla Russia per il gasolio è di circa il 27% della quota importata e consumata. L’effetto previsto è adesso un rincaro sulla materia prima applicata dai fornitori alternativi.
Effetto prezzi
Le associazioni dei consumatori segnalano i primi rialzi, e sottolineano il rischio di speculazioni, con il diesel in modalità servito destinato a superare i 2,5 euro a litro. Oltre alle speculazioni, gli aumenti sarebbero frutto di reali maggiorazioni sui costi di filiera.
Si tratta dei maggiori costi delle nuove nuove rotte commerciali da e verso i fornitori alternativi (Medioriente, Cina), più lunghe e quindi più costose in termini di trasporto, con ripercussioni per il cliente finale che acquista alla pompa. In realtà i prezzi stanno invece tenendo, anzi: nella prima giornata si sono addirittura ridotti.
Dinamiche di mercato
Tornando alle sanzioni, una considerazione importante è la seguente: la Russia non può vendere petrolio all’Europa ma può venderlo alla Cina, che però ormai lo acquista ad un prezzo fortemente ridotto rispetto al passato. La vera sanzione non è dunque l’embargo in sé ma il deprezzamento sul mercato del greggio russo.
Per evitare di alimentare in via indiretta la valvola di sfogo cinese per le esportazioni russe, i Paesi UE potrebbero a breve termine rivolgersi maggiormente al Medio Oriente e agli Stati Uniti. Non significa che le economie europee abbiano del tutto voltato le spalle alla Russia, dove sono rimaste circa l’8% delle aziende tra quelle presenti prima dell’invasione dell’Ucraina.
E tra le imprese con filiali russe ancora aperte il 6,4% è italiano. Tra queste ci sono ancora le aziende italiane Ariston, Benetton, Calzedonia, De Cecco, UniCredit.