Mentre il Crel lancia spunti di riflessione sull’occupazione femminile in Italia, il Censis fa il punto della situazione nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2008.
Nel dettaglio, l’analisi Lavoro, professionalità, rappresentanze traccia un quadro che vede almeno 7 donne imprenditrici su 10 fondatrici uniche della propria azienda, a seguito dell’acquisizione di una preesistente attività di famiglia, ma anche semplicemente per dar vita ad una propria vocazione personale.
Tra le imprenditrici prevarrebbe la cultura del profitto ben temperato, ovvero un modello di capitalismo volto a valorizzare l’impatto sociale del fare impresa e non più solo quello puramente economico.
Inserite prevalentemente in piccole imprese a gestione familiare, le donne preferirebbero stili di leadership partecipativi, che coinvolgano quindi le varie figure aziendali nei vari aspetti del percorso di lavoro.
L’idea di successo tra le protagoniste delle imprese rosa è strettamente legato alla capacità di seguire l’azienda in tutto il suo essere, dall’amministrazione alle strategie, “sporcandosi le mani”.
La stretta interazione con i clienti e con i dipendenti, mirata a creare un legame di fiducia, in cui i bisogni dell’azienda vanno incontro alle attese dei dipendenti.
L’interazione non risulta però altrettanto stretta tra imprenditrici e community di sviluppo locale, rimanendo così chiuse nel proprio microcosmo produttivo. Il Censis ha infatti rilevato una certa estraneità da parte delle donne rispetto alle vicende economiche e alla vita pubblica locale: solo il 6,3% include gli altri imprenditori nei propri circuiti relazionali e solo il 4,7% entra in contatto con le organizzazioni di categoria.
Un aspetto critico su cui le imprese rosa dovrebbero lavorare perché, come sottolineato dallo stesso Rapporto Censis, oggi fare bene il proprio lavoro è sì importante, ma è necessario anche saper mantenere connessioni forti con l’economia locale e le sue opportunità di innovazione.