Cos’è la remotizzazione? Il cloud. E il servitore? Il server. Con queste espressioni, Stefano Franceschini definiva, con parecchi anni di anticipo, quelli che poi sono diventati dei trend globali della digitalizzazione. Il fondatore nonché presidente di Passepartout, azienda di software gestionali che oggi ha 200 dipendenti e vanta 80mila utenti, continua a seguire un’impronta data fin dall’inizio: programma completamente sviluppato internamente e proprietario, con gli aggiornamenti specifici per i diversi settori.
Una storia made in Italy
Franceschini, che oltre a essere il founder dell’azienda è anche il programmatore che ha creato il software, ci tiene a precisare una caratteristica tecnica: quelle che vengono inserite sul programma di base «sono solo modifiche logiche, non fisiche. Significa che non viene mai manomesso il prodotto».
Lo schema tecnologico si riflette anche sul modello di business: in azienda si sviluppa il prodotto, che viene poi distribuito (soprattutto nelle PMI) attraverso una rete di partner. E anche 30 anni fa, «il nostro non era un prodotto fatto per un cliente, ma per un distributore, che deve poter gestire clienti di tipo diverso». Un programma pensato dal suo creatore per poter essere adattabile a qualunque tipo di attività. Un modello che oggi, nel mondo hi-tech e non solo, è molto diffuso, ma che in questo caso ha radici nella storia aziendale e come detto è un’interfaccia dell’approccio tecnologico.
Ripercorriamo tutte le tappe di una storia aziendale tutta made in Italy attraverso un’intervista allo stesso founder, e ai suoi figli, Mauro e Paolo, vicepresidenti. Perché l’azienda sta affrontando il fondamentale passaggio del ricambio generazionale.
Ma facciamo un passo indietro. Franceschini festeggia in questi giorni i 50 anni di attività del mondo della tecnologia. In realtà, Passepartout ha poco più di 30 anni, ma l’avventura imprenditoriale è in realtà iniziata anni prima, con altre aziende, e nasce da un periodo di almeno dieci anni nella consulenza IBM. «Io ho cominciato nelle forze armate, nell’aviazione. Ero un elettronico. Sono stato uno dei primi elettronici dell’F104», racconta. Un interesse, quello per l’aviazione, che ha decisamente trasmesso ai figli. Mauro è stato uno dei primi piloti dell’F105. «Ha preso la patente per gli aerei prima di quella della macchina», sottolinea il padre. «E anche mia figlia, subito dopo il liceo, ha iniziato a fare la hostess di volo».
I primi passi in IBM
In realtà, lui non voleva fare l’informatico. «Ma ho iniziato a lavorare in IBM, entrando con un concorso, e poi non mi sono più fermato. Lavoravo sui calcolatori di seconda generazione. Poi mi hanno proposto di trasferirmi a Latina, mia moglie non voleva muoversi da Rimini, e allora ho cambiato azienda». Per un po’ di anni, lavora in un cash and carry, occupandosi delle fatture (sempre dal punto di vista della procedura). Ma continua anche a lavorare per IBM, come consulente.
«Pensavo già che volevo mettere in piedi una mia azienda. Pensavo di lavorare come uno scrittore, che si alza la mattina, beve il caffè in vestaglia, poi si mette alla scrivania e scrive. Io, però, scrivevo il programma». Non siamo ai garage della Silicon Valley, ma poco di manca. In realtà, «lavoravo in una soffitta. Era una palazzina con le ringhiere strette, e ho trasportato in soffitta un IBM 3742, una macchina di dimensioni oggi impensabili, non passava neanche dalle scale».
I figli, che oggi si preparano a raccogliere le redini dell’azienda (con il founder ancora saldamente al comando e pronto a intervenire, anche se pare abbia in progetto di trasferirsi sulla sua barca, nella quale realizzare un ufficio), respirano tecnologia, saper fare e imprenditorialità fin da piccoli. Ma, come vedremo, preparano il passaggio generazionale con tecniche del terzo millennio. Perché, spiega Mauro nel corso della convention 2022, davanti a 400 partners, un report Ambrosetti segnala che il 25% delle PMI non riesce a superare il primo passaggio generazionale, il 15% si ferma alla terza generazione.
Dalla consulenza alla propria impresa
Per passare dalla consulenza alla propria impresa, Franceschini si cerca un socio finanziatore, lo trova in uno dei suoi clienti. «Mi serviva tempo per fare un programma da cui partire. L’idea era di mettere insieme tutte le cose che avevo imparato, e realizzato, e fare un pacchetto. Siamo nella prima metà degli anni ’70, l’azienda si chiama SIAR, acronimo per servizi aziendali Rimini. Il primo programma, invece, si chiama PGC, programma di gestione contabile. «C’erano ancora i dischetti, su uno avevo tutte le anagrafiche, sull’altro le transazioni che via via venivano fatte».
A un certo punto, IBM gli chiede di comprare il programma, lui vende, «anche perché nel frattempo ne avevo fatto un altro, che invece si chiamava Domino. Ricordo che era l’anno in cui uscì il primo personal computer IBM (il pc 5150, del 1981). «Il mio socio andò in America, e comprò i primi computer, li portò in Italia, e pensavano di venderli ai programmatori di software perchè prendessero dimestichezza con questa novità. Poi, Ibm disse che quei pc erano fatti solo per il mercato americano, e questo troncò l’esperienza di quelli che furono chiamati spaghetti in salsa IBM».
La nascita di Passepartout
L’azienda nel frattempo aveva cambiato nome, «ci furono anche momenti difficili negli anni ’80, ma ne siamo usciti». Come spesso accade, a un certo punto le strade dei sue soci si dividono, ed è a questo punto, nel 1989 che nasce Passepartout. Perchè il nome? Semplice, si chiamava così il programma, che era conosciutissimo, mentre il nome dell’azienda non lo conosceva nessuno. Chiamare l’azienda come il prodotto, interviene Paolo, «è una tecnica di marketing, che spesso si attiva proprio perché il prodotto è più conosciuto dell’impresa».
E’ questo il prodotto pensato per il distributore e non per il cliente, al quale arriva quindi riadattato in base alle proprie esigenze. «Un insieme di algoritmi che sommava tutte le esperienze che avevo avuto. Per esempio, i miei clienti a Firenze erano tutti produttori di frutta all’ingrosso, e il programma quindi distingueva il prodotto fresco da quello conservato, il peso, e via dicendo». E questa impostazione, come dicevano, è rimasta ancora oggi. L’ultimo miglio spetta ai partner, «è la nostra caratteristica ancora oggi. Abbiamo ancora concessionari che sono con noi fin dall’inizio».
Certo, le cose sono cambiate, anche sul fronte del rapporto con i partner. «Il patto fra noi e il distributore era: noi facciamo il prodotto migliore possibile, senza errori, e lo aggiorniamo costantemente. Il partner trova il cliente, si occupa della pubblicità. Oggi il mercato è completamente cambiato, i partner «chiedono a noi di trovare i clienti, di fare la pubblicità».
Il passaggio generazionale
In ogni caso, lo ripetiamo, questo resta il modello di business. Durante la convention 2022 viene esplicitamente assicurata continuità non solo nella gestione, dopo il passaggio generazionale, ma anche nel rapporto con i partner. Ai quali, diciamolo, vengono anche rivolti appelli all’aggiornamento continuo per star dietro al mercato.
La sua cifra di imprenditore? «Cerco di essere me stesso e basta». Il valore «è l’aziende stessa» interviene Mauro, e «al centro dell’azienda ci sono le persone». E in qualche modo un’azienda che sta sul mercato del terzo millennio in un settore ad alta innovazione come quello del software, ma che continua a poggiare su valori tradizionali e, forse soprattutto, sulla propria storia. «I dipendenti sono i principali testimonial, anche per attrarre talenti» prosegue Mauro Franceschini, che per esempio insiste sul cross mentoring, «un meccanismo virtuoso fra un’insostituibile esperienza di 50 anni e l’innovazione continua». Contaminazione è una delle parole chiave, anche sul fronte della formazione. «Io sono un ingegnere di una volta – interviene il padre -, un circuito lo facevo con la resistenza, la bobina, oggi gli ingegneri sanno molte più cose, ma rispetto a noi sono più degli assemblatori. Quindi, a me viene sempre il dubbio che si possa fare meglio, è un retaggio che mi viene dal fatto che noi lavoravamo su 7 – 8 k, e ci facevano stare dentro tutto. Oggi abbiamo a disposizione memorie enormi».
Tutto questo non vuol dire che non si valorizzino i giovani, anzi. Formazione, lavoro di squadra, managerialità. Quest’ultimo è un aspetto che gli investitori istituzionali tengono sempre presente, in generale, a fronte di un cambio generazionale. guardano il management, i fondamentali, la sostenibilità, la corporate governance. Le competenze dei due vicepresidenti sono fra loro complementari. Tutti aspetti che nel caso specifico sono comunicati con chiarezza. E sempre nell’ottica dell’innovazione, che si declina anche con il rapporto con i partner.