Anche la cassa integrazione in deroga può essere considerata un caso di sospensione totale o parziale dell’attività lavorativa annoverato tra quelli con diritto alla retribuzione come previsto dal comma 3 dell’articolo 2120 del Codice Civile. A metterlo nero su bianco è la Corte di Cassazione con l’ordinanza 25838 del 1° settembre 2022.
In caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto all’ammissione allo stato passivo del credito per quanto riguarda le quote del periodo precedente trasferite nel Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del Lavoro, non versate dal datore di lavoro.
Secondo la Cassazione, infatti, anche la Cassa integrazione in deroga (CIGD) non pagata al lavoratore rientra nella previsione del terzo comma dell’art. 2120 c.c., trattandosi di un caso di sospensione per la quale deve essere garantita l’integrazione salariale: il diritto alla retribuzione è assimilabile a quello di una normale e ordinaria retribuzione lavorativa.
Pertanto, qualora il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, Il pagamento della CIGD spetta al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali:
in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all’ammissione allo stato passivo del credito per le quote di T.f.r. maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro.