La crisi di Governo mette a rischio parte delle riforme previste dal PNRR e di quelle da inserire nella Legge di Bilancio, compresa la riforma pensioni 2023, il taglio del cuneo fiscale e il salario minimo. Senza contare le ripercussioni internazionali ed economico-finanziarie dell’assenza di Draghi (in questo momento, forse, l’italiano più stimato al mondo) dai tavoli decisionali in ambito UE.
L’incertezza politica, con i necessari tempi tecnici qualora non rientri la crisi né si configuri un Draghi bis, rendono plausibile la strada delle elezioni anticipate a fine settembre, con un inevitabile stallo di molte delle attuali attività di Governo.
Tuttavia, se non si dovesse trovare la quadra, il premier resterà in carica almeno per il disbrigo degli affari correnti. Qualunque cosa accadrà dopo le comunicazioni alle Camere del 20 luglio, il giorno dopo è in programma un incontro con le associazioni imprenditoriali del commercio e dell’artigianato che segue quelli con sindacati e Confindustria, sul tema del decreto Aiuti bis, teoricamente previsto per fine luglio, con dote finanziaria di 8-10 miliardi.
Tra i nuovi ristori anti-inflazione e caro energia per imprese e famiglie si ipotizza anche un nuovo bonus 200 euro bis. L’indennità un tantum, tra le liquidazioni d’ufficio a luglio e gli accrediti previa domanda entro ottobre, ha interessato circa 30 milioni di titolari di reddito, pensione o sussidio. L’ipotesi è di prevederne una seconda tranche, in considerazione del perdurare dei rincari e dell’aumento dell’inflazione. Tuttavia, costando da sola qualcosa come 6,8 miliardi, è difficile pensare che si possa inserire nel DL Aiuti bis senza una reale comunione d’intenti.
Come sarà portato avanti questo nuovo fondamentale provvedimento anti-crisi se cade il Governo? In che misura gli attuali ministri e forze politiche troveranno il compromesso per dare risposta alle diverse istanze che di fatto hanno spaccato la maggioranza?
Il pomo della discordia è rappresentato dai famosi 9 punti del documento M5S in virtù dei quali l’ex premier Giuseppe Conte ha aperto ufficialmente la crisi di Governo. Sette pagine di richieste a cui, secondo il leader dei Cinquestelle, l’attuale premier non avrebbe risposto prontamente.
Eppure, nessuna delle istanze contenute nel documento è assente dalle attuali ipotesi o strategie di Governo: reddito di cittadinanza, salario minimo, scostamento di bilancio per finanziare nuovi aiuti oppure taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, decarbonizzazione, Superbonus 110%, cashback fiscale, rateazione cartelle esattoriali, più spazio al voto delle misure in Parlamento.
Sembra poco credibile che a far aprire la crisi di Governo in questo delicatissimo momento storico sia stato davvero il voto di fiducia sul DL Aiuti, contenente il via libera al nuovo termovalorizzatore per i rifiuti di Roma (una soluzione difficile da digerire ma dettata da un’emergenza rifiuti che sta letteralmente soffocando la Capitale ormai da anni). Più verosimilmente, il terreno di scontro è quello che riguarda i due cavalli di battaglia politici del Movimento: il Reddito di Cittadinanza (dal 2022 più legato alle politiche attive per il lavoro) e il Superbonus (non rinnovato dopo il 2025).
Da capire, dunque, quale orientamento prenderanno queste nuove misure laddove si dovessero sciogliere le Camere. Draghi rimarrebbe comunque fino all’insediamento del nuovo Governo, che però non si potrebbe insediare prima di novembre. Per quella data, in teoria dovranno già essere stati presentati i nuovi numeri dell’aggiornamento DEF e la bozza della Legge di Bilancio.
Certo, che a portare avanti questi provvedimenti, fondamentali per la tenuta economica del Paese da qui al prossimo anno, sia un Governo “supplente” e destituito del suo reale ruolo, sembra quasi assurdo. Soprattutto considerato il fatto che a guidarlo sarebbe un premier della caratura ed esperienza di Draghi, a cui è toccato l’arduo compito di traghettare l’Italia verso il post-Covid e schivare i colpi della nuova bellica ed energetica.