In arrivo la direttiva europea sul salario minimo: entro martedì 7 giugno dovrebbe essere raggiunto l’accordo (tra Commissione, Parlamento e Consiglio) sulla proposta già votata al Parlamento UE lo scorso anno sul minimun wage. La direttiva UE non fissa tuttavia un salario minimo comune per tutti, né impone questo parametro come obbligo contrattuale: semplicemente, mira a far istituire in ciascun Paese un quadro normativo che preveda salari minimi adeguati ed equi.
Per il recepimento in Italia, dunque, sarebbe utile sbloccare la proposta di legge in Commissione Lavoro al Senato, ferma per mancanza di accordo politico e tra le parti sociali.
Nel nostro Paese c’è infatti una forte polemica su questa misura, con gli stessi ministri uno contro l’altro e le sigle sindacali disunite. Il Ministro del Lavoro Andrea Orlando si è schierato a favore della sua approvazione, il Ministro della PA Renato Brunetta è fermamente contrario, così come la Cisl, secondo cui il salario minimo va esteso e rafforzato attraverso la contrattazione. Confindustria e Bankitalia sono prudenti, per timore di automatismi che non tengano conto dei contesti produttivi.
In Europa, ad ogni modo, i tempi sembrano ormai maturi. Anche il Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha dichiarato che la perdita del potere d’acquisto degli stipendi e l’aumento delle diseguaglianze non può più essere ignorato, motivo per cui salario minimo è ora indispensabile.
Il discorso è comunque più ampio, abbracciando i diritti dei lavoratori della gig economy: i fattorini del food delivery, per esempio, ma anche i traduttori online o gli artigiani che offrono riparazioni a domicilio prenotate su piattaforme digitali.
C’è una direttiva quadro della Commissione, ma non siamo andati oltre perché molti Paesi frenano.
Il problema è che la direttiva europea sul salario minimo garantito si sovrappone in molti casi alla legislazione nazionale, che in diversi casi prevede una tutela salariale già nella contrattazione collettiva. In Italia c’è una proposta nazionale ferma in parlamento ed una serie di altre declinazioni che coinvolgono la contrattazione di secondo livello per la definizione di minimi salariali oltre a quelli dei diversi CCNL.
Da inizio legislatura sono state depositate ben sei proposte di legge, con il testo base riferito alla proposta di Nunzia Catalfo a cui ha fatto seguito una più completa, comprendente anche aspetti legati alla rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva e la detassazione degli aumenti nei rinnovi contrattuali.
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Sullo sfondo c’è anche un’altra questione, come ha ricordato Gentiloni: se gli stipendi sono bassi in molti Paesi d’Europa – Italia compresa – è anche perché a fungere da freno contribuisce una insufficiente produttività, che tuttavia dovrebbe aumentare grazie agli investimenti del PNRR.