In tema di pensioni i dubbi sono sempre tanti, per via delle tante regole e delle riforme del sistema previdenziale che si sono susseguite negli anni, cambiando l’età e i requisiti per potersi ritirare dal mondo del lavoro.
Le categorie pensionistiche (ordinarie come quella usuranti e precoci, oppure temporanee come APe Sociale, isopensione, Quota 103, Opzione Donna e così via) sono tante e variano in base ai requisiti. La regola generale prevede dunque una pensione di vecchiaia per tutti i lavoratori e molteplici possibilità di pensione anticipata in casi particolari.
=> Quando andrai in pensione: calcolo online
In questo articolo, cerchiamo di dare una risposta alle domande più frequenti che i lettori di PMI.it ci pongono sul tema pensioni.
- Quanti anni di contributi servono per andare in pensione?
- Come calcolare la pensione?
- Quanto prenderò di pensione con 35 anni di contributi?
- Chi ha iniziato a lavorare a 16 anni quando va in pensione?
- Chi ha 42 anni di contributi può andare in pensione?
- Cosa è l’APe sociale?
- Cosa è la pensione di reversibilità?
- Quando ci sarà la nuova Riforma pensioni?
Quanti anni di contributi servono per andare in pensione?
Alla pensione di vecchiaia si accede con 67 anni di età (dal 2023 l’età aumenterà di tre mesi) e almeno 20 anni di contributi per la generalità dei lavoratori. Per alcune categorie di lavoratori sono previsti requisiti contributivi ridotti:
- 15 anni di contributi per i quindicenni che possono ancora accedere alla deroga Amato;
- 5 anni di contributi per chi ha compiuto i 71 anni e rientra interamente nel regime contributivo (contributi versati dopo il 1995).
Per accedere alla pensione anticipata ordinaria, l’anzianità contributiva richiesta fino al 2026 – per via del congelamento degli adeguamenti alle aspettative di vita – è pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
Con l’APe Sociale vengono richiesti almeno 30/36 anni di contributi (in base alla categoria) a patto di aver compiuto almeno 63 anni di età. I precoci che rientrino anche nelle categorie tutelate dall’APe Social (disoccupati, caregiver, invalidi, gravosi e usuranti) possono andare in pensione anticipata, indipendentemente dall’età, con 41 anni di contributi.
I lavoratori con con mansioni usuranti o gravose e le donne che scelgono Opzione Donna accedono alla pensione anticipata con 35 anni di contributi versati. Con la Quota 103 servono invece almeno 41 anni di anzianità contributiva (e 62 di età).
Come calcolare la pensione?
L’importo della pensione finale si calcola con il sistema contributivo, retributivo o misto a seconda del periodo in cui sono stati versati i contributi INPS, mentre esistono una serie di regole specifiche, coefficienti e finestre per calcolare anche l’età pensionabile, il montante contributivo e la decorrenza della pensione stessa.
Come si calcola l’età pensionabile?
Per calcolare l’età pensionabile, ovvero il momento in cui si perfezioneranno i requisiti per l’accesso (prima decorrenza utile) alla pensione di vecchiaia, anticipata o agevolata, bisogna tenere conto dell’età anagrafica del lavoratore e degli anni di contributi versati, nonché delle regole previste dalla normativa in vigore per l’accesso alla pensione, che possono prevedere finestre mobili di uscita.
Come si calcola l’assegno pensionistico?
Per stimare l’ammontare dell’assegno previdenziale è indispensabile conoscere il montante contributivo, ovvero l’importo complessivo dei contributi versati durante la propria carriera lavorativa, rivalutati sino al momento della liquidazione della pensione. Questo parametro è di fondamentale importanza nel calcolo delle pensioni che rientrano nel sistema contributivo pro rata che ricordiamo si applica dal 1995.
A chi aveva maturato almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 si applica il sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011 e poi contributivo. Chi al 31 dicembre 1995 lavorava ma non aveva maturato 18 anni di contributi vedrà applicarsi il sistema misto, ossia retributivo fino al 31 dicembre 1995 e poi contributivo.
Come si determina il montante contributivo?
Per determinare il montante individuale contributivo bisogna tenere conto della base imponibile annua corrispondente ai periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria, figurativa, da riscatto e da ricongiunzione di ciascun anno e del totale dei contributi versati in ciascun anno, calcolati moltiplicando la base imponibile annua per l’aliquota di computo:
- del 33% per i periodi di contribuzione da lavoratore dipendente;
- del 24% per i periodi di contribuzione da lavoratore autonomo;
- dal 24% al 33% per gli iscritti alla gestione separata INPS.
Il montante individuale si calcola sommando l’ammontare dei contributi di ciascun anno, rivalutato annualmente sulla base del tasso di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del PIL calcolata dall’ISTAT con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare.
Come si calcola l’importo della pensione nel sistema contributivo?
Per passare dal montante contributivo individuale alla rendita pensionistica bisogna moltiplicare il montante contributivo complessivo per il coefficiente di trasformazione legato all’età anagrafica in cui si esce e quindi dividere tale importo della pensione lorda annua per 13 mensilità, ottenendo la pensione lorda mensile.
Come si calcola l’importo della pensione nel sistema retributivo?
Il calcolo della pensione con il sistema retributivo si divide in due quote, A e B, che si differenziano in base alla data del versamento:
- quota A, calcolata sulle retribuzioni relative alle ultime 260 settimane di attività lavorativa dipendente o sulle ultime 520 settimane da lavoro autonomo e moltiplicata per il numero di settimane accreditate dall’inizio dell’attività lavorativa fino al 31 dicembre 1992;
- quota B, calcolata sulle retribuzioni relative alle ultime 520 settimane di attività lavorativa dipendente o sulle ultime 780 settimane da lavoro autonomo e moltiplicata per il numero di settimane accreditate dal 1° gennaio 1993 alla data di decorrenza della pensione.
La retribuzione media settimanale (rms) si ottiene dividendo per 260 la somma della retribuzione complessiva (rc) e la rivalutazione (riv) su base ISTAT:
rms = (rc + riv) / 260 (o 520)
La quota A si calcola quindi moltiplicando la retribuzione media settimanale per il numero delle settimane fatte valere tra l’inizio dell’assicurazione e il 1° gennaio 1993 (n1) e per per la corrispondente aliquota di rendimento (ar):
qA = rms * n1 * ar
L’aliquota di rendimento è pari al 2% annuo della retribuzione/reddito percepiti entro determinati limiti, decresce per fasce di importo superiore. Se la retribuzione pensionabile non supera tale limite, con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70% della retribuzione, con 40 anni è pari all’80%.
La quota B (qB) si calcola in modo del tutto analogo, sostituendo a 260 (o 520 per gli autonomi), 520 settimane (o 780). L’ammontare della pensione lorda mensile (P) si calcola quindi come somma delle due quote:
P = qA + qB
Quanto prenderò di pensione con 35 anni di contributi?
L’ammontare della pensione non dipende esclusivamente dal numero di anni contributivi che il futuro pensionato può vantare, ma anche da altri elementi variabili a seconda della specifica carriera lavorativa.
Facciamo un esempio pratico per capire a quanto potrebbe ammontare la pensione con 35 anni di contributi. Consideriamo un lavoratore con una RAL di 30mila euro, ipotizzando che questa sia rimasta costante nel tempo e che di questi 35 anni ve ne siano 15 che cadono nel periodo retributivo e 10 in quello contributivo. Se il lavoratore va in pensione di vecchiaia, a 67 anni, la quota retributiva ammonta a circa 9mila euro, quella contributiva a 11mila euro, arrivando così ad una pensione lorda annuale di circa 20mila euro.
Per capire quanto possa differire l’assegno previdenziale, a parità di contributi, a seconda della propria carriera lavorativa, prendiamo il caso di una lavoratrice che scelga Opzione Donna, accettando dunque il calcolo interamente contributivo della pensione. Ipotizzando anche qui una RAL di 30mila euro, applicando il metodo di calcolo contributivo si ottiene un pensione lorda annua di circa 14.860 euro.
=> Calcola il netto dalla RAL
Chi ha iniziato a lavorare a 16 anni quando va in pensione?
Chi inizia a lavorare e a versare contributi 16 anni di età rientra nella definizione di lavoratore precoce. I “precoci” sono infatti quei lavoratori che sono entrati nel mondo del lavoro prima del compimento della maggiore età (almeno 12 mesi di contributi versati prima dei 19 anni).
I lavoratori precoci, quindi anche chi ha iniziato a lavorare a 16 anni, oggi possono accedere alla pensione con Quota 41, ovvero con 41 anni di contributi senza requisito anagrafico, se rientrano in una delle categorie di soggetti ammessi all’APe Sociale. Fino al 2026 sono bloccati gli scatti legati all’aspettativa di vita. Per ritirarsi effettivamente dal lavoro, i precoci devono aspettare tre mesi di finestra mobile.
Chi ha 42 anni di contributi può andare in pensione?
Chi ha 42 anni di contributi può andare in pensione anticipata, indipendentemente dall’età se è una donna (pensione anticipata ordinaria), un lavoratore precoce (Quota 41), o se possiede i requisiti anagrafici richiesti per tutte le altre formule di pensionamento che richiedono meno di 42 anni di contributi, ad esempio se ha compiuto i 67 anni di età (pensione di vecchiaia) o è un lavoratore che ha svolto mansioni usuranti o gravose. Aspettando ancora 10 mesi, quindi raggiungendo i 42 anni e 10 mesi, la pensione anticipata ordinaria (Legge Fornero) diventa accessibile senza penalizzazioni anche ai dipendenti uomini.
Cosa è l’APe sociale?
L’APe Social è un tipo di pensione anticipata agevolata senza penalizzazioni e a costo zero per il lavoratore. Introdotta dalla Legge di Bilancio nel 2017 (comma 179 della legge 232/2016), l’APe Sociale si pone l’obiettivo di tutelare specifiche categorie di lavoratori che possono ritirarsi in anticipo rispetto alle regole della Legge Fornero.
Chi ha diritto all’APe?
Hanno diritto all’APe Sociale quattro specifiche categorie di lavoratori. Si tratta in particolare di:
- disoccupati involontari senza sussidio (NASpI) da almeno tre mesi;
- caregiver per assistenza da almeno sei mesi del coniuge o partner in unione civile, oppure di un parente di primo grado convivente;
- disabili pari almeno al 74%;
- addetti a lavori gravosi da almeno sei anni nell’arco degli ultimi sette anni.
In generale vengono richiesti almeno 30 anni di contributi, ma per i lavoratori che svolgono lavori gravosi ne servono almeno 36 anni.
Quanto si prende di pensione con APe social?
In generale, l’importo è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione, tuttavia va ricordato che l’importo dell’anticipo pensionistico APe non può superare i 1.500 euro mensili.
Cosa è la pensione di reversibilità?
La pensione di reversibilità, o pensione ai superstiti, è una prestazione erogata dall’INPS su richiesta dell’interessato avente diritto in caso di decesso del pensionato (pensione di reversibilità) o dell’assicurato (pensione indiretta) in favore dei familiari superstiti.
Chi ha la pensione di reversibilità deve fare il RED?
Il RED è una dichiarazione reddituale che deve essere presentata all’INPS annualmente da parte dei pensionati titolari di prestazioni collegate al reddito come integrazione al minimo, pensioni di reversibilità, assegni al nucleo familiare, maggiorazione sociale. Ma non sempre in questi casi è necessario presentare il RED.
Deve presentare il RED in caso di pensione di reversibilità:
- chi presenta il 730 o il modello Redditi PF ma possiede anche altri redditi che non vanno indicati in dichiarazione e/o è titolare di pensioni estere e/o di reddito da lavoro autonomo;
- chi non presenta la dichiarazione dei redditi.
Come aumentare la pensione di reversibilità?
L’importo della pensione ai superstiti è pari ad una quota percentuale della pensione del defunto (dante causa), applicando le seguenti percentuali:
- 100% coniuge e due o più figli o tre o più figli;
- 80%, coniuge e un figlio o due figli senza coniuge;
- 70%, solo un figlio;
- 60%, solo coniuge;
- 70%, solo un figlio;
- 30% due genitori o fratelli e sorelle;
- 15% per ogni altro familiare avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.
Alla morte del coniuge, quello superstite ha diritto a percepire la sua percentuale di pensione di reversibilità che aumenta in presenza di figli, anche in base a quanti figli sono presenti e al fatto che siano o meno disabili.
Esistono infatti dei limiti di reddito oltre i quali l’importo dell’assegno si riduce o estingue:
- fino a 21.985,86 nessuna riduzione;
- fino a 29.314,48 riduzione del 25%;
- fino a 36.643,10 riduzione del 40%;
- oltre cinque volte il trattamento minimo, riduzione del 50%.
Un modo per aumentare la pensione di reversibilità è dunque quello di abbassare il reddito del beneficiario, ad esempio il coniuge superstite. Va inoltre ricordato che le riduzioni non si applicano se nel nucleo familiare sono presenti figli minori, studenti o inabili.
Quando ci sarà la nuova Riforma pensioni?
Entro fine anno dovrebbe essere definita una nuova Riforma delle Pensioni, annunciata dal Governo Meloni a inizio legislatura, che però sembra essersi arenata per mancanza di risorse finanziarie: lo ha messo nero su bianco dal DEF (Documento di Economia e Finanza) che traccia le linee guida per le politiche economiche del prossimo anno, tanto che per il 2024 non è facile comprendere cosa attendersi.
Tra i principali obiettivi della revisione del sistema previdenziale italiano, che resta tuttavia in agenda, c’è quello di trovare soluzioni (eque e sostenibili) che consentano di andare in pensione in modo più flessibile, quindi introducendo nuovi strumenti per la pensione anticipata alternativi a quelli ordinari (Legge Fornero). La direzione del Governo è quella di andare verso un unico sistema contributivo.