È stata diffusa alla fine di settembre la direttiva del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che delinea le caratteristiche delle varie fasi ispettive, necessarie affinché ci sia maggior trasparenza e certezza per le aziende nel corso delle procedure di controllo. Già il decreto legislativo 124/2004 di riordino dell’attività di vigilanza era nato con la finalità di promuovere la legalità e reprimere gli illeciti, ma questa nuova direttiva introduce elementi di novità, conseguenti alla eliminazione della documentazione, come il libro matricola e i registri delle presenze, che introducevano l’ingresso ispettivo.
Ora si prevede che dopo l’ingresso degli ispettori nelle aziende il datore di lavoro riceva un “verbale di accesso” e un “verbale di accertamento e notificazione”. Si tratta di due provvedimenti che hanno scopi diversi: il primo contiene il quadro della situazione generale, ovvero il resoconto delle prime operazioni svolte e la richiesta dei documenti; il secondo, invece, consente al trasgressore di avere notizia degli addebiti, delle sanzioni irrigate e delle prove in possesso degli organi di vigilanza. Dunque, in estrema sintesi, il verbale di accesso è una fotografia dettagliata delle attività svolte dai lavoratori, mentre il verbale di accertamento e notificazione traccia in maniera puntuale quali strumenti difensivi ha in mano l’azienda, termini e modalità per ricorrere e le condizioni per una emersione guidata a seguito di diffida a regolarizzare.
Le procedure di controllo cambiano fisionomia anche per la parte relativa alla programmazione degli interventi, ora fatta sulla base delle caratteristiche della realtà territoriale. Questo vuol dire che alle denunce seguono accessi in azienda solo se c’è stato il fallimento della conciliazione monocratica, che diventa una prassi obbligatoria nonché costante, eccezione fatta per i casi riguardanti fatti di reato, pluralità di lavoratori o fenomeni particolarmente gravi. La denuncia fatta in forma anonima non è presa in considerazione a meno che non emergano elementi di gravità e attendibilità dei fatti denunciati. L’ispezione perciò è di iniziativa “a vista”, se si individua un’area territoriale o un insediamento produttivo, o “programmata”, se riguarda singole aziende.
Gli accessi nelle aziende saranno rapidi e sistematici, garantiranno uniformità di comportamento e saranno coordinati in modo da evitare inutili duplicazioni di interventi. Per questo motivo, l’ispettore deve conoscere le caratteristiche e l’organizzazione dell’azienda ispezionata ed è tenuto ad instaurare un clima collaborativo con i dipendenti, che rilasciano dichiarazioni a verbale, e con il datore di lavoro, facendo un’opportuna distinzione tra chi viola ripetutamente e volontariamente le norme di tutela e chi lo fa occasionalmente.
Passiamo alla sospensione dell’impresa: data la gravità dell’intervento, l’ispettore ha una discrezionalità limitata a verificare i requisiti di legge. L’ispettore ha il compito di valutare la sussistenza dei requisiti di legge e delle condizioni di effettivo rischio e pericolo, fatto ciò può adottare la sospensione con decorrenza dalle ore 12 del giorno successivo, ovvero in edilizia e in agricoltura, dalla cessazione delle attività in corso, eccezion fatta per i casi di pericolo imminente o rischio grave. Questo dà all’azienda la possibilità di mettersi in regola e ottenere la revoca prima della chiusura. Sospensione non immediata, dunque. In più nelle microimprese non basta un solo dipendente irregolare per sospendere le attività.
La direttiva sottolinea il fatto che l’obiettivo dei controlli ispettivi è quello di eliminare ogni formalismo e favorire la regolare competitività tra le imprese, tutelando chi lavora e dichiarando guerra al sommerso. I lavoratori sono tutelati anche grazie all’uso della diffida accertativa che consente all’ispettore di riconoscere ai crediti di lavoro una più rapida soddisfazione con provvedimento che può avere efficacia di titolo esecutivo. Per quanto riguarda i contratti di lavoro sia autonomi – collaborazioni, associazioni o occasionali – che flessibili – part-time, a termine, a chiamata – l’ispezione avviene solo se questi non sono stati preventivamente certificati da una delle commissioni di certificazione.
La direttiva ricorda che la certificazione mette a riparo da verifica ispettiva le collaborazioni, così come tutti i contratti flessibili. A meno che l’intervento ispettivo non sia richiesto dal lavoratore, in seguito al fallimento del tentativo di conciliazione. La sicurezza sul lavoro viene garantita attraverso una segnalazione alle Asl di situazioni di dubbia regolarità. Le direzioni del Lavoro attivano azioni di prevenzione e promozione, presso aziende o associazioni datoriali, per conoscere le norme e garantirne una corretta applicazione.
In conclusione, l’obiettivo della direttiva del ministro del Lavoro relativa alle attività del personale ispettivo non è solo quello di reprimere le violazioni, ma anche e soprattutto di prevenirle, ponendo l’accento più sulla sostanza che sulla forma e promuovendo una “più diffusa e radicata cultura della legalità”. Si punta, dunque, alla piena collaborazione con le aziende, con i professionisti che le assistono e con gli stessi lavoratori che ne fanno parte, affinché rendano la propria dichiarazione in piena consapevolezza e non in stato di soggezione. E a questo proposito appare significativo l’invito rivolto al personale di vigilanza ad abbandonare “ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratico” per concentrarsi invece sulla concretezza della violazione. La figura dell’ispettore viene quindi ridefinita e riqualificata e chiamata a concorrere al governo attivo e al controllo complessivo del mercato del lavoro.
Si tratta di un programma ambizioso racchiuso in un provvedimento senza precedenti, eccezion fatta per la direttiva del 1906, attuale ancora oggi, con la quale l’allora ministro dell’Agricoltura dell’industria e del commercio, Cocco Ortu, fissava i tre principi ispiratori dell’attività di vigilanza: correttezza, imparzialità e fedele applicazione della legge. L’importanza di questa corposa direttiva emanata dal ministro del Welfare sta nel tentativo di rilanciare l’impostazione delle funzioni ispettive e di vigilanza, già tracciata dalla legge Biagi, e avviare così un processo di modernizzazione del mercato del lavoro attraverso un rinnovato rapporto con gli operatori economici e i loro consulenti. Sembra una sfida ambiziosa e, bisogna ammetterlo, non semplice da realizzare nella pratica quotidiana ma rimane una sfida coerente con le attuali esigenze delle aziende che non aspettano un’ennesima rivoluzione normativa, destinata a rimanere sulla carta, ma chiedono invece certezza e uniformità di giudizio nella interpretazione e applicazione delle nostre vigenti. Allo stato attuale già molte, forse troppe.