Si è espresso in merito all’applicazione dell’equo compenso nella Pubblica Amministrazione il TAR del Lazio con una sentenza, la n. 9404/2021, che sta facendo molto discutere, avendo precisato che nelle PA la disposizione per garantire ai professionisti una tutela sull’entità dei compensi percepiti deve essere applicata “ancorandosi” a parametri di maggiori flessibilità che possono portare anche a pagare parcelle piuttosto esigue. Vediamo perché.
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Compensi esigui ammissibili nella PA
Secondo il Tribunale, nell’applicazione del principio dell’equo compenso, le PA devono tenere conto delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e della natura delle attività che il professionista è chiamato a svolgere.
Motivo per cui il TAR Lazio ha respinto il ricorso proposto dall’ordine degli avvocati di Roma (e ad adiuvandum dall’Associazione italiana giovani avvocati) contro un avviso pubblicato dall’INPS che proponeva compensi ritenuti non in linea con la norma dell’equo compenso. L’avviso era stato pubblicato dall’Istituto con il fine di acquisire la disponibilità di n. 77 professionisti avvocati per svolgere incarichi di domiciliazione e/o sostituzione in udienza presso gli Uffici giudiziari del circondario del Tribunale di Roma e degli atti presupposti. Il compenso proposto dal bando INPS, ritenuto troppo esiguo dai ricorrenti, era pari a:
- 250 euro per le domiciliazioni;
- 80 euro per le sostituzioni;
- 105 euro per cause superiori alle 25, con una media per udienza di 4,2 euro.
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Il Consiglio dell’Ordine laziale, con l’intervento di un’associazione che difende i diritti degli avvocati, è quindi ricorso al TAR per ottenere l’annullamento dell’Avviso, ritenendo che questo violasse palesemente i minimi tariffari e il principio dell’equo compenso. Il TAR però ha ritenuto corretto l’Avviso pubblico INPS con la motivazione che per la Pubblica Amministrazione trova sì applicazione il concetto di equo compenso, ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al DM 55/2014.
Il concetto di equo compenso, per quanto riguarda la PA, deve ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità:
- per esigenze di contenimento della spesa pubblica (i giudici del TAR citano la clausola di invarianza finanziaria prevista dal comma 4 dell’articolo 19 quaterdecies del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172 e successive modifiche);
- per la natura delle attività da svolgere (nel caso specifico, il fatto che il lavoro riguardasse solo attività ritenute ripetitive e seriali per il TAR bastava a rendere congrui e dignitosi i compensi previsti dall’INPS).
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In buona sostanza, nella PA l’applicazione dell’equo compenso va valutata di volta in volta e scatta solo se vengono rispettati i suddetti vincoli.