La sospensione della riscossione comporta un differimento di quanto dovuto dai contribuenti ai diversi enti, ma a conti fatti non si tratta di un passaggio indolore né per i conti dello Stato, né per i cittadini in termini di servizi erogati e nuovi investimenti pubblici.
Parliamo del nuovo slittamento, questa volta al 31 maggio 2021 – annunciato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze come anticipazione di un apposito decreto – in riferimento alla ripresa delle attività di riscossione e notifica delle cartelle. L’intervento interessa la fase coattiva della riscossione dei tributi, ovvero la possibilità di notificare cartelle-ingiunzioni, comunicazioni di fermo, di ipoteca, avvisi di intimazione e pignoramenti mentre al momento non si hanno conferme sull’analogo eventuale differimento anche per la ripresa dei versamenti (fissati dal DL Sostegni al 31 maggio). Ad oggi, sono oltre 400 i giorni di blocco assoluto di ogni attività e di calcolo di interessi definiti del Legislatore, anche con riferimento agli accertamenti esecutivi. Questi ultimi possono essere notificati dalla metà del 2020, ma non possono essere avviati in riscossione coattiva in caso di mancato pagamento, visto che il raggiungimento dell’esecutività dopo la scadenza dei termini indicati nell’atto lo rende non solo atto di accertamento, ma anche e soprattutto atto della riscossione coattiva con forza precettiva. Questi atti, in pratica, non scadono ma vengono tenuti bloccati. Le disposizioni contenute nell’articolo 68 del Dl 18/2020, riaggiornato dal Decreto Sostegni, ed esteso dal comunicato stampa del MEF n°88 del 30/04/2021, prevedono in sintesi (salvo nuove disposizioni.):
- sospensione della riscossione coattiva fino al 31 maggio 2021;
- nessuna attività di riscossione coattiva fino al 31 maggio per i versamenti in scadenza dall’8 marzo al 30 aprile 2021;
- termine ultimo per i pagamenti fissato al 31 maggio, non sono previsti interessi di mora dall’8 marzo al 30 aprile;
- per i carichi scaduti prima dell’8 marzo 2020, la riscossione coattiva potrà riprendere dal 1° giugno 2021
- dal 1° giugno sarà possibile notificare ingiunzioni di pagamento.
Visto il periodo che stiamo attraversando, con la pandemia a rendere instabili o difficili le condizioni economico-finanziarie di molte aziende e molte persone, tali provvedimenti sembrano seguire la corretta ratio del supporto ai contribuenti in una situazione generata da uno shock esogeno. Se ciò appare chiaro e palese, è altrettanto utile considerare che le sospensioni stanno avendo impatto sugli enti, anche sulla loro capacità di investimento e servizio a favore della collettività. Vediamo qualche numero. Secondo una relazione della Corte dei Conti di recente pubblicazione, nel 2020 i Comuni italiani hanno registrato 4,6 miliardi di euro in meno di entrate rispetto all’anno precedente. Di questi, 2,44 miliardi legati alla diminuzione delle entrate tributarie.
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Sono calate del 12,6% le compartecipazioni, ovvero la quota di tasse nazionali che viene destinata ai Comuni, mentre è stata più contenuta la riduzione dell’IMU, la tassa sugli immobili, e dell’addizionale Irpef, che non hanno subìto grandi ripercussioni a causa dell’emergenza. È stata marcata la perdita inerente la tassa per lo smaltimento rifiuti, che ha fatto registrare minori incassi per oltre un miliardo, con un calo del 17,6% rispetto al 2019: questo dipende sia dalle chiusure delle attività commerciali (calo stimato in circa 755 milioni), sia dal sostegno alle famiglie particolarmente colpite dalla crisi (diminuzione stimata in circa 265 milioni).
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Sono stati 2,14 i miliardi di euro in meno di entrate “extra-tributarie”, quelle garantite dal pagamento di servizi – a causa della pandemia i Comuni hanno infatti incassato pochissimo dagli affitti e dalle concessioni, e dalle multe – per via delle restrizioni agli spostamenti ci sono state pochissime sanzioni, che solitamente costituiscono un importante sostegno ai bilanci dei comuni. In totale, queste due voci hanno causato un miliardo di entrate in meno. Nella relazione della Corte dei Conti è possibile trovare il dettaglio del netto calo delle entrate. La voce principale riguarda i mancati introiti provenienti dalle mense scolastiche e dai servizi extra scolastici, dagli impianti sportivi, dai trasporti pubblici, dagli incassi da fiere, mercati, musei e teatri, solo per citare le voci principali. Ad alcune di queste, è corrisposto nel 2020 anche un calo delle spese non direttamente quantificato dalla Corte dei Conti che è andato a parziale compensazione.
Hanno subito un forte crollo anche gli incassi derivanti dall’imposta di soggiorno pagata dai turisti per ogni notte trascorsa nelle città che la applicano. A livello di Paese, si è passati dai 455 milioni di euro incassati nel 2019 ai 230 milioni dello scorso anno, con una diminuzione del 49,3%, con punte del 60% per le grandi città d’arte.
Per coprire tali ammanchi, lo scorso anno sono stati garantiti 250 milioni di euro sotto forma di aiuti statali divisi tra tutte le città italiane. Non ci sono ancora notizie in merito all’ampiezza di tali misure per il 2021, anno in cui i bilanci delle pubbliche amministrazioni locali continueranno a farsi sentire in maniera consistente. Finora tutte le mancate entrate sono state infatti compensate dall’intervento dello Stato, che oltre a coprire i mancati incassi del 2020, per il 2021 ha rafforzato le misure di sostegno con fondi che interesseranno i servizi fondamentali, il trasporto pubblico, la compensazione per l’imposta di soggiorno e l’esonero dal pagamento di altre imposte, come le concessioni pubblicitarie o il canone per l’occupazione di aree destinate agli ambulanti, attività fortemente limitata dalle misure restrittive. Inoltre, sono stati previsti altri due fondi: un miliardo per il rimborso delle spese di acquisto dei dispositivi di protezione individuale e 200 milioni per il sostegno economico alle attività del territorio.
Non è certo se le compensazioni introdotte basteranno a coprire gli effetti della pandemia sul 2021. Nella sua relazione, la Corte dei Conti si limita infatti a sostenere come «opportuno l’intervento previsto sulle entrate locali», cioè la necessità che lo Stato conceda nuove risorse ai comuni «per evitare che l’emergenza sanitaria, economica e sociale possa evolvere in situazioni di crisi finanziaria locale con conseguenze pesanti sulla finanza pubblica».
Cosa succede se una Pubblica Amministrazione Locale non riesce a tenere in equilibrio i suoi conti? Avremmo a che fare con una serie di problemi in merito alla fruizione quotidiana dei servizi:
- riduzione dei servizi non essenziali;
- aumento dei costi dei servizi;
- aumento delle tariffe.
Le situazioni più gravi possono anche portare, in casi limite, al dissesto dell’ente con gravi conseguenze sugli amministratori, su tutte le aziende fornitrici e per i cittadini con un innalzamento ai livelli massimi consentite delle aliquote e delle tariffe, una limitazione degli investimenti dell’ente ed una limitazione sulla numerosità e sulla qualità dei servizi offerti. In questo quadro di incertezza, che persiste da oltre un anno, i Comuni possono mitigare gli effetti dei blocchi e mettere a frutto il periodo di standby su alcune attività, definendo ed attuando sinergie fra il proprio organico e specialisti esterni. Grazie al supporto di esperti capaci di integrare nei processi esistenti soluzioni complete per la gestione dell’intero ciclo di vita dei tributi, la fiscalità locale può essere innovata e resa una leva fondamentale per la rimessa in circolo di risorse finanziarie altrimenti bloccate nelle varie forme che prende il debito, a favore di una maggiore equità fiscale, tema spesso sottovalutato ma che è il principale metodo di efficientamento della gestione della cassa dell’ente, con benefici per tutti i cittadini del territorio di riferimento.
Cristiano Montesi