Con la risposta n. 260/2021 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il soggetto passivo che prima della Brexit, ovvero dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, si era identificato direttamente in Italia non deve necessariamente chiudere la partiva IVA e nominare un rappresentante fiscale, in più la società residente nel Regno Unito non perde lo status di esportatore abituale ai fini IVA. Nel caso esaminato dal Fisco, l’istante, a fronte della Brexit, aveva ritenuto necessario interrompere l’identificazione diretta e nominare un rappresentante fiscale nel nostro Paese, chiudendo la partita IVA italiana. Il dubbio della società riguardava la possibilità di mantenere lo status di esportatore abituale senza soluzione di continuità e di poter effettuare, tramite il rappresentate fiscale, acquisti senza IVA utilizzando anche il plafond maturato in capo al numero d’identificazione diretta ante Brexit.
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Identificazione diretta o rappresentante fiscale
Il Fisco precisa che in situazioni di questo tipo non è necessario rinunciare all’identificazione diretta e nominare un rappresentante fiscale. I due sistemi sono entrambi validi per i soggetti non residenti. L’Agenzia delle Entrate ricorda che:
- a partire dal 1° gennaio 2021, agli scambi commerciali con il Regno Unito, a seguito del suo recesso dalla Unione Europea ai sensi dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea (TUE), si applicano le regole e le formalità di natura fiscale in vigore con i Paesi terzi;
- secondo la normativa IVA, il soggetto non residente – UE o extra-UE – che effettua nel territorio dello Stato operazioni rilevanti ai fini IVA, può adempiere ai relativi obblighi o esercitare i relativi diritti nominando un rappresentante fiscale residente nel territorio dello Stato (cfr. articolo 17 del decreto IVA) o, in alternativa, identificandosi direttamente (cfr. articolo 35-ter del medesimo decreto IVA);
- per i soggetti extra-UE la possibilità di identificazione diretta è subordinata al rispetto di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 35-ter del decreto IVA, ai sensi del quale «possono avvalersi dell’identificazione diretta prevista dal presente articolo, i soggetti non residenti, che esercitano attività di impresa, arte o professione (…) in un Paese terzo con il quale esistano strumenti giuridici che disciplinano la reciproca assistenza in materia di imposizione indiretta, analogamente a quanto previsto dalle direttive del Consiglio n. 76/308/CEE del 15 marzo 1976 e n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977 e dal regolamento (CEE) n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992».
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L’Agenzia spiega che, poiché l’accordo tra Regno Unito e Unione europea, stipulato in data 24 dicembre 2020 e finalizzato a regolare il futuro delle relazioni tra i due sistemi economici del dopo Brexit, contiene un Protocollo sulla cooperazione amministrativa e la lotta contro la frode in materia di imposta sul valore aggiunto e sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi e imposte, tale Protocollo può considerarsi sostanzialmente analogo agli strumenti di cooperazione amministrativa vigenti nella UE.
Questa interpretazione consente di continuare ad applicare ai soggetti passivi del Regno Unito le disposizioni contenute nell’articolo 35-ter, comma 5, del decreto IVA (cfr. risoluzioni del 5 dicembre 2003, n. 220/E e del 28 luglio 2020, n. 44/E). Ne consegue che:
- anche i soggetti passivi stabiliti nel Regno Unito possono accedere all’istituto dell’identificazione diretta al fine di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di IVA in Italia, in alternativa alla nomina di un rappresentate fiscale ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del decreto IVA;
- gli operatori del Regno Unito che già dispongono in Italia di un rappresentante fiscale IVA o di un identificativo IVA, nominato o rilasciato antecedentemente al 1° gennaio 2021, possono continuare ad avvalersene per le operazioni interne.
Plafond IVA
L’articolo 8, secondo comma, del decreto IVA consente ai cosiddetti esportatori abituali di effettuare acquisti di beni e servizi o importazioni senza pagare l’IVA, entro però un determinato limite, denominato plafond IVA e previo invio all’Agenzia delle Entrate di una dichiarazione d’intento, o lettera d’intento, nella quale si attesa il proprio status di esportatore abituale e si chiede che non venga applicata l’IVA sull’operazione. Il plafond IVA si calcola in base alle cessioni intracomunitarie di beni, alle esportazioni e alle operazioni assimilate effettuate nell’anno precedente o nei dodici mesi precedenti.
Per quanto concerne il dubbio sollevato dall’istante riguardante il trasferimento del plafond IVA maturato in capo al numero identificativo IVA che è stato utilizzato ante Brexit della stessa società, le Entrate confermano che questo può essere utilizzato dal rappresentante fiscale. Questo perché nel passaggio tra i due sistemi di rappresentanza è rimasto immutato il soggetto passivo non residente che ha maturato il plafond. A cambiare sono stati soltanto gli strumenti giuridici (numero identificativo e rappresentante fiscale) attraverso i quali lo stesso assolve gli obblighi ed esercita i diritti relativi alle cessioni e alle prestazioni di servizi effettuate in Italia.
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Tale impostazione, spiega il Fisco, trova conferma anche nella disciplina del trasferimento del plafond in caso di operazioni straordinarie, come fusioni, scissioni e cessioni d’azienda: «con diversi documenti di prassi è stato introdotto il principio per cui nelle operazioni straordinarie il soggetto che subentra, senza soluzione di continuità, nell’attività e nei rapporti giuridici (attivi e passivi) del soggetto “trasformato”, “fuso” ,”scisso”, “conferitario”(o “avente causa” in una cessione di ramo aziendale) è legittimato ad utilizzare il plafond IVA maturato in capo al suo soggetto “dante causa”, “conferente” “scindente” “incorporante” (cfr. inter alia risoluzioni n 124/E del 2011e n. 165/E del 2008)».