Il passaggio generazionale è un momento fondamentale nella vita di un’azienda – soprattutto in momento storico come quello stiamo vivendo a causa della pandemia – con la consegna di compiti, responsabilità ed oneri ad un altro testimone, che porterà nell’impresa il proprio sapere e la propria esperienza. Non è però soltanto il trasferimento di know-how e definizione di una nuova visione di business per il nuovo leader ma anche una nuova visione di “vita” per quello uscente, soprattutto se si svolge tra le mura domestiche e in modalità agile.
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Ricambio di competenze
Il passaggio generazionale è un momento critico nella life story di una società, ancor più accentuato se parliamo di piccole e medie imprese. Perché la rivoluzione digitale, l’evoluzione dei mercati e i nuovi modi di rapportarsi a fornitori e clienti richiedono radicali cambiamenti, che possono essere agevolati dalla spinta delle nuove generazioni e dall’introduzione in azienda di nuove competenze.
Un esempio dei nostri giorni è il recente accordo sindacale per l’uscita volontaria da TIM di 1.300 risorse, così da permettere all’azienda di assumere abbassando l’età media e introducendo figure professionali specifiche, utili all’innovazione e alla digitalizzazione.
Tra le nuove competenze, quelle più richieste sono sicuramente quelle digitali, un universo di abilità tecnologiche (digital hard skills) – dalla semplice capacità di usare un computer a competenze di alto livello come lo sviluppo software per l’intelligenza artificiale – e gestionali (digital soft skills), come ad esempio l’organizzazione del lavoro agile e la filosofia manageriale fondata su flessibilità e autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
Passaggio di testimone
Su 5 milioni di imprese italiane iscritte alle Camere di commercio, il 93% è di tipo familiare (a fronte di una media europea del 50%). Secondo l’Osservatorio Aub nei prossimi anni il passaggio generazionale interesserà oltre la metà di queste aziende, visto che circa il 70% di quelle con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro è di tipo familiare (59% delle aziende con fatturato oltre i 50 milioni). Un quarto di queste imprese è gestito da un imprenditore over 70 e sarà costretta ad affrontare il passaggio del testimone nei prossimi anni. Non sempre semplice.
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Di fatto, la programmazione della prima successione è affrontata dopo i 60 anni, e quando gli eredi assumono il controllo si trovino già in età avanzata. Emerge dunque la fase più critica, probabilmente perché non pianificata nei tempi e modi corretti. L’imprenditore-fondatore sceglie il successore in base alla vicinanza di conoscenze, aspirazioni e vision. Quando si tratta di un figlio, come spesso avviene, la sovrapposizione tende ad essere totale.
Pertanto, questa fase – che dovrebbe e potrebbe rappresentare una rottura creativa e un momento di rinnovamento della struttura cognitiva e manageriale, tanto rischiosa quanto necessaria – si traduce nella pericolosa riproduzione dei vecchi modelli a fronte di un ambiente competitivo in continua evoluzione.
Allora viene da chiedersi: come può sognare e aspirare un imprenditore di nuova generazione? Le aziende nascono da idee, da sogni, da desideri. Bisogna lasciare gli imprenditori di domani liberi di sognare, disegnare la propria impresa e realizzare nuove idee così come i loro predecessori hanno fatto.