In questi mesi di emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus il tema dello smart working è diventato improvvisamente concreto, rappresentando una delle modalità di lavoro che più altre stanno consentendo alle imprese di proseguire nella propria attività e di contenere il rischio di contagio allo stesso tempo. Il cosiddetto lavoro agile, o smart working, è stato regolato per la prima volta dalla Legge n. 81/2017, stabilendo in primis, all’articolo 20, che lavoratori agili e in sede hanno diritto al medesimo trattamento normativo e retributivo complessivamente applicato agli altri dipendenti, ma lo stesso non vale per i cosiddetti fringe benefit.
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Smart working, buoni pasto e fringe benefit
Fonte di dibattito è da sempre il diritto ai buoni pasto quando il lavoratore è in smart working. Secondo l’orientamento della giurisprudenza, i buoni pasto non devono essere considerati come una erogazione rientrante nel trattamento retributivo in senso stretto e per questo non sono sempre dovuti se il lavoratore passa allo smart working, neanche nel pubblico impiego.
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Un’altra questione controversa riguarda il fatto che non vige l’obbligo per i datori di fornire ai propri dipendenti strumenti di lavoro, come PC, sedie d’ufficio, scrivanie, cancelleria, penne, stampanti, scanner e quat’altro. La situazione attuale sta però portando ad alcuni contenziosi su questo fronte. Se da una parte c’è la forte raccomandazione delle Autorità a lavorare in smart working per ridurre i rischi di contagio da Covid-19, dall’altra non tutti i lavoratori dispongono dei mezzi necessari per farlo.
Il consiglio per i datori di lavoro è di mostrarsi disposti a fare dei piccoli investimenti per mettere a disposizione dei propri dipendenti i mezzi per poter lavorare da casa anche se la normativa vigente non li obbliga a farlo, in considerazione del fatto che mantenere i lavoratori in ufficio, con il rischio che si ammalino, potrebbe costare di più all’azienda, quanto meno in termini di forza lavoro, e che la spesa per mantenere i fringe benefit potrebbe essere compensata dai risparmi legati al mancato uso della sede.
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Va inoltre sottolineato che anche in caso di smart working la sorveglianza sanitaria resta un obbligo in capo al datore di lavoro. Se il dipedente non lavora in un ambiente adeguato, ad esempio non scegliendo una sedia ergonomica sulla quale stare al PC per ben 8 ore lavorative, potrebbe avere dei problemi fisici.
In quest’ottica le aziende potrebbero muoversi prevedendo fringe benefit diversi da quelli che proponevano quando si lavorava in sede. Dopo tanti mesi di smart working dovuto alla pandemia ci sono già alcune aziende che hanno cominciato a muoversi di propria iniziativa, offrendo bonus per acquistare l’attrezzatura informatica e il corretto arredo per convertire alcuni spazi della propria abitazione ad ufficio, o regalando corsi di pilates, yoga e ginnastica posturale a distanza.