La pandemia causata dal Covid-19, così come le conseguenti misure restrittive stabilite a livello nazionale, hanno avuto un notevole impatto anche sulle politiche retributive del primo semestre 2020. Ammontano a 7,5 milioni di euro le mensilità CIG erogate per oltre 3 milioni di lavoratori, mentre le retribuzioni hanno subito una brusca frenata per tutti gli inquadramenti dopo un trend positivo di cinque anni.
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Secondo il 28° Rapporto sulle Retribuzioni di ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group, nel periodo marzo-maggio 2020 la produzione industriale è calata del 29,9% rispetto al trimestre precedente, ma a calare sono state sia l’occupazione sia la disoccupazione (segnale della riduzione del numero di quanti cercano attivamente lavoro).
Per quanto riguarda gli strumenti di integrazione salariale introdotti dal Governo con il Decreto Cura Italia, il report segnala un’impennata senza precedenti delle ore di cassa integrazione erogate nel primo semestre dell’anno in corso.
Considerato che la CIG prevede l’erogazione ai dipendenti di un importo corrispondente all’80% dello stipendio, ma sottoposto a dei massimali che variano a seconda della fascia retributiva – commenta Miriam Quarti, Senior Consultant e Responsabile dell’area Reward&Engagement di ODM Consulting – allora è interessante analizzare l’effetto sulle retribuzioni medie a livello nazionale, che, in generale, si riducono.
La riduzione sulla retribuzione netta mensile media è pari al 33%, mentre se si considera il totale della popolazione lavorativa il calo medio risulta di 90 euro al mese, pari al 5,7% di retribuzione netta mensile in meno.
Considerando le diverse aree di inquadramento, inoltre, per i Quadri la riduzione è del 11,1%, corrispondente a circa 350 euro in meno, mentre per gli Impiegati la riduzione è pari al 6,3%, corrispondente a poco più di 100 euro. Gli Operai hanno subito un taglio del 5,6%, pari a circa 80 euro in meno.
Dal punto di vista territoriale, il ricorso alla CIG-Covid non è stato equo: ci sono circa 10 punti percentuali di differenza tra l’area con la più bassa quota di imprese che ne hanno fatto ricorso, il Nord-Est, e quella con la quota più alta percentuale, vale a dire il Mezzogiorno.
Una possibile spiegazione di questa differente distribuzione territoriale – sottolinea Quarti – riguarda la composizione settoriale, con le imprese del Mezzogiorno maggiormente colpite dal lockdown in quanto appartenenti a settori come il commercio al dettaglio non alimentare, la ristorazione e il settore turistico che sono stati più colpiti dalle restrizioni introdotte dal Governo per combattere la diffusione dell’epidemia.