Addio al taglio delle pensioni d’oro, come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale, che l’ha ritenuta legittima per soli tre anni: dal primo gennaio 2022 cessa dunque l’applicazione della ritenuta sugli assegni pensionistici superiori a 100mila euro lordi l’anno. Resta invece la rivalutazione piena per le pensioni fino a quattro volte il minimo e ridotta per gli importi superiori.
Un’altra novità di gennaio 2022 è il previsto aumento delle pensioni, da 300 a mille euro l’anno: scade infatti il blocco delle rivalutazioni e, con l’inflazione in risalita, cambiano anche le aliquote e gli scaglioni. In pratica, il prossimo anno le pensioni torneranno a salire grazie al rialzo dell’inflazione e la perequazione viene fatta attraverso nuove aliquote più favorevoli.
Pensioni d’oro e rivalutazioni
Le questioni di legittimità sulle due misure di contenimento della spesa previdenziale, disposte dalla Legge di Bilancio 2019 a carico delle pensioni di elevato importo, erano state sollevate dal Tribunale di Milano e dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti per Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Sardegna e Toscana.
Il risultato? Legittimo il “raffreddamento della perequazione”, in quanto ragionevole e proporzionato e legittimo anche il “contributo di solidarietà”, «ma non per la durata quinquennale, perché eccessiva rispetto all’orizzonte triennale del bilancio di previsione dello Stato».
Prelievo pensioni
Il taglio sulle pensioni d’oro, sul quale la pronuncia della Corte è stata più critica è contenuto nei commi da 261 a 268 della legge 145/2018. Si tratta di un prelievo sulle pensioni superiori a 100mila euro lordi, con un meccanismo a scaglioni. Sono escluse le pensioni interamente contributive (quindi, il contributo di solidarietà riguarda solo le pensioni che hanno almeno una quota retributiva). La riduzione è prevista applicando le seguenti aliquote:
- 15% sulla parte di pensione fra 100mila e 130mila euro;
- 25% fra i 130mila e i 200mila euro;
- il 30% fra i 200mila e i 350mila euro;
- il 35% fra i 350mila e i 500mila euro;
- il 40% per la parte eccedente i 500mila euro.
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In base alla norma primaria, questo taglio dovrebbe essere effettuato per cinque anni, a partire dal primo gennaio 2019 (quindi fino al 2024). E’ questa la parte che la Corte non ha ritenuto legittima, ritenendo il periodo troppo lungo.
Nell’ambito strettamente previdenziale risulta evidente la tendenza dell’ordinamento a non proiettare oltre il triennio valutazioni e determinazioni cui si addice uno spazio di osservazione più circoscritto, come testimonia l’evoluzione della disciplina del coefficiente di trasformazione del montante individuale dei contributi.
Perequazione pensioni
La norma sulla perequazione invece è ritenuta pienamente legittima. E’ contenuta nel comma 260 della stessa legge 145/2018, in estrema sintesi prevedendo in origine la rivalutazione al 110% per le pensioni fino a tre volte il minimo, con un meccanismo a scaglioni per quelle più alte. La manovra dell’anno successivo è nuovamente intervenuta, estendendo la rivalutazione piena ai trattamenti fino a quattro volte il minimo (legge 160/2020, comma 477). Si applicano dunque, fino alla fine del 2021, le seguenti aliquote:
- da quattro a cinque volte il minimo: rivalutazione al 77% del tasso di riferimento;
- fino a sei volte il minimo: indice al 52%;
- fino a otto volte il minimo: indice al 47%;
- fino a nove volte il minimo: indice al 45%;
- sopra nove volte il minimo: 40%.
Gli indici si applicano al tasso di rivalutazione delle pensioni che viene stabilito ogni anno, in base all’andamento dell’inflazione. Dal 2022, sempre in base a quanto previsto dalla stessa manovra (comma 478) sono previste solo tre aliquote:
- fino a 4 volte il minimo rivalutazione al 100%;
- fra quattro e cinque volte il minimo rivalutazione al 90%;
- sopra cinque volte il minimo rivalutazione del 75%.