Tra il secondo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020 ammontano a 219mila i lavoratori autonomi che hanno cessato l’attività, la metà dei quali appartiene a una fascia di età compresa tra i 30 e i 39 anni.
Secondo il report della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, “La crisi senza fine del lavoro autonomo”, la pandemia ha gravato enormemente sul lavoro autonomo, un comparto fortemente ridimensionato dalla crisi del 2008. Il blocco delle attività ha portato a conseguenze difficili da superare, tanto che il 79% dei liberi professionisti ha subito una diminuzione delle entrate tra aprile e maggio, calo che nel 35,8% dei casi è stato superiore al 50%.
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Dietro questa crisi si cela il mancato ricambio generazionale, ma anche l’adozione tra il 2010 e il 2019 di politiche mirate quasi sempre a sostenere solo il lavoro dipendente. Focalizzando l’attenzione sui singoli profili professionali, le perdite maggiori si registrano tra i piccoli imprenditori del commercio (71 mila addetti in meno, nelle professioni intellettuali a elevata qualificazione (meno 31 mila addetti), nelle professioni tecniche (meno 39 mila).
La crisi ha coinvolto soprattutto il settore turistico, tra attività ricettive e ristorative, ma non ha risparmiato anche gli agenti e consulenti che lavorano nel settore finanziario e assicurativo (-11,5%), la filiera dei servizi alle imprese (-11,3%), dell’informazione (-11,5%) e della formazione (-14,8%).
Qui di seguito il grafico che illustra la variazione del lavoro autonomo nei principali settori tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre 2020:
Secondo i Consulenti del Lavoro, neanche il bonus autonomi, di cui hanno beneficiato oltre 4 mln di lavoratori, è riuscito a contenere le difficoltà reddituali e la crisi di liquidità riscontrate dai liberi professionisti in questo periodo. A farne le spese sono stati soprattutto i lavoratori autonomi con dipendenti, con oltre 67 mila lavoratori in meno tra il 2019 e il 2020.