Nel primo trimestre 2020, le attivazioni di nuovi contratti di lavoro sono risultate in calo del 10% rispetto allo stesso periodo 2019 (circa 300mila assunzioni in meno), con un ovvio crollo registrato a marzo quando, a causa dell’emergenza Coronavirus, sono state sospese tutte le attività. In quel solo mese, le attivazioni sono crollate quasi del 37%, quando invece i primi due mesi dell’anno avevano lasciato ben sperare con una crescita tendenziale del 2-3%.
Come evidenziano i dati ministeriali sulla base delle comunicazioni obbligatorie pervenute, si tratta di una crisi del mercato del lavoro che era dunque inevitabile, e che ha coinvolto in primis il Nord Italia (-14,4%) e in misura minore il Sud del Paese (-4,4%) – dove a calare sono soprattutto le assunzioni femminili – con dati medi al Centro (-11,3%).
A patire di più è stato il settore dei Servizi (-13,4%), che ha comunque assorbito il 65,3% delle attivazioni totali. Tonfo secco per il comparto alberghiero e della ristorazione (-27,0% nel trimestre, -72,4% solo a marzo). Nel primo trimestre 2020, l’Industria segna -12,5% – Industria in senso stretto (-14,4%) peggio delle Costruzioni (-9,1%) – con l’inevitabile picco negativo a marzo (soprattutto Costruzioni a -35,1%).
Di contro, il settore Agricoltura ha registrato una crescita (+4,9%), dove hanno prevalso i contratti a termine ma dove a marzo si è segnato -41,9% e nel trimestre, sempre e comunque, un calo del 10,4%.
I contratti di apprendistato hanno segnato nel trimestre -11,5%. Le attivazioni dei contratti di collaborazione -11,9%. Trend negativo anche per il lavoro in somministrazione (-11,8% di attivazioni).
Il calo delle assunzioni ha riguardato maggiormente i lavoratori di età inferiore a 54 anni (soprattutto i giovani), con un incremento di quelle per i 55-64enni (+5,0%) e ultrasessantaquattrenni (+5,8%).
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Per quanto concerne le cessazioni dei rapporti di lavoro, nel trimestre si è registrato +5,5%, con trend omogeneo in termini geografici, ma focalizzato soprattutto nel settore dei Servizi (76,8%). Considerando le cause di cessazione, in realtà, emerge prepotente quella dei pensionamenti (+152,4%).