Il rendimento TFR in azienda è stabilito dall’articolo 2120 del codice civile: “Il trattamento” “è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente“. In un periodo di bassa inflazione significa che il rendimento del TFR si avvicinerà alla base da cui parte il calcolo, ovvero l’1,5%.
Anche nel 2016 l’inflazione nella zona euro resterà nettamente al di sotto dell’1% – per intenderci a febbraio era del -0,2%. Nella migliore delle ipotesi la Bce non si avvicinerà al suo obiettivo di avere un’inflazione vicina al 2% prima del 2018 – ma ci sono analisti che sostengono che ci vogliano almeno cinque anni prima che si arrivi ad una normalizzazione degli scenari inflazionistici. Si pu quindi dire che i rendimenti non siano il punto forte della scelta di mantenere il TFR in azienda in periodi di bassa inflazione, questo perché il legislatore, con la norma sulla rivalutazione, si era posto come obiettivo principale il mantenimento del potere di acquisto.
Per fare un confronto nel breve periodo, possiamo rilevare come i rendimenti dei fondi pensione siano stati superiori al 7%. Un dato che, raffrontato con l’1,5% medio di rendimento del Tfr in azienda, parla da solo. Bisogna però rilevare che il loro rendimento è legato all’andamento del mercato azionario e quindi si possono avere annate molto negative. Per cui chi vuole garantirsi soprattutto il recupero dell’inflazione dovrebbe preferire lasciare il proprio TFR in azienda.