Le pensioni dei giovani, che con carriere discontinue e calcolo interamente contributivo rischiano di maturare assegni previdenziali molto bassi, e quelle delle donne, anche in vista del superamento dell’Opzione Donna. Sono, insieme alla flessibilità in uscita, i due temi al centro del tavolo governo-sindacati sulla riforma pensioni che si riunisce lunedì prossimo, 27 gennaio.
Per quanto riguarda i giovani, il punto riguarda l’equità del sistema, ovvero la capacità di pagare pensioni adeguate a coloro che andranno in pensione interamente con il sistema contributivo.
L’ultimo allarme, in questo senso, è stato lanciato dall’Ocse: in base alle stime, i giovani non riusciranno ad andare in pensione prima dei 71 anni. In pratica, andranno in pensione di vecchiaia, non riuscendo a raggiungere il requisito per la pensione anticipata, che richiede (oltre agli anni di contributi, attualmente 42 e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne), anche la maturazione di un assegno pari ad almeno 2,8 volte il minimo (intorno a 1300 euro al mese).
Il rischio, quindi, è che ci siano intere generazioni destinate ad avere pensioni molto basse. I contributivi, lo ricordiamo, sono coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995.
Sono diverse le proposte sul tavolo, anche se non sono previste opzioni particolarmente dettagliate. Il presidente INPS, Pasquale Tridico, pensa all’istituzione di un fondo integrativo pubblico a capitalizzazione, gestito dall’istituto di previdenza. Il Governo ha a più riprese sosttolineato l’intenzione di mettere a punto un sistema che garantisca una pensione di garanzia per i giovani.
I sindacati insistono invece sul concetto che bisogna rafforzare l’attuale sistema pubblico, in modo che riesca a garantire pensioni adeguate ai giovani. Sintetizza Annamaria Furlan, segretaria generale Cisl: «spero si riesca a costruire una pensione di garanzia per i nostri giovani che, di precariato in precariato, iniziano davvero ad avere prospettiva di essere futuri anziani poveri e noi questo non lo accettiamo».
Sul fronte delle donne, lo strumento attualmente attivabile è la cosiddetta Opzione Donna, che consente di ritirarsi alle dipendenti nate entro il 1960 e alle autonome nate nel 1959. In entrambi i casi, ci vogliono 35 anni di contributi. Il calcolo della pensione è interamente contributivo (che significa una decurtazione fino al 20-30% rispetto al calcolo misto o retributivo).
Fra le proposte, quella del sottosegretario al lavoro, Francesca Puglisi, di riconoscere alle lavoratrici un anno in più di contribuzione per ogni figlio, che sembra incontrare anche il favore dei sindacati. «Riconoscere un anno di contributi per figlio per le donne lavoratrici», sottolinea ancora Furlan, significa considerare la maternità «un bene sociale, complessivo di una comunità, non solo individuale».