Illegittimo il licenziamento inflitto al lavoratore assente per un lungo periodo per via di una malattia. Se incide sull’integrazione socio-lavorativa, infatti, per la Corte di Cassazione può essere assimilata alla disabilità, rendendo il recesso discriminatorio.
Malattia equiparabile alla disabilità
Con la sentenza n. 29289/2019, la Suprema Corte ha chiarito che la malattia prolungata è equiparabile alla disabilità e, visto che il recesso basato sull’handicap del dipendente è vietato dalla Direttiva Europea 78/2000/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione (secondo la quale il carattere duraturo di una limitazione deve essere inteso nel senso che la partecipazione alla vita professionale è ostacolata per un lungo periodo), il licenziamento in queste ipotesi non può essere ritenuto legittimo.
=> Omessa assunzione disabili: sanzione immediata
L’espressione “disabili” comprende infatti tutte le persone affette da handicap e malattia, perché le nozione di handicap si riferisce ad una limitazione risultante da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
=> Visite fiscali INPS: in aumento permessi malattia ed illeciti
Nel caso esaminato era stato accertato in giudizio che le limitazioni del lavoratore, affetto da una grave patologia cardiaca e respiratoria, fossero durevoli, quindi è stata disposta la reintegrazione del reclamante nel posto di lavoro e il pagamento da parte della società della retribuzione globale dalla data del licenziamento alla reintegrazione.
=> Pensione invalidità anche in malattia
Onere probatorio
I giudici precisano che l’onere di dimostrare il fattore di rischio e il trattamento discriminatorio subito ricade sul lavoratore, mentre il datore ha l’onere di provare che avrebbe licenziato qualunque altro dipendente privo di fattori di rischio.