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Il Made in Italy vince 10 volte sulla globalizzazione

di Anna Fabi

3 Maggio 2019 14:06

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I primati poco noti delle imprese italiane nel mondo per una globalizzazione dal volto umano: l'analisi di Gaetano Fausto Esposito, Segretario Generale di Assocamerestero.

Se andiamo su Google e cerchiamo le definizioni di globalizzazione troviamo 113 milioni di citazioni; se facciamo una analoga ricerca su Made in Italy ne troviamo più di un miliardo. Il Made in Italy vince 10 volte sulla globalizzazione!

E’ un modo per dire che anche nella implicita consapevolezza della rete la percezione dell’Italia e dei suoi prodotti è quella di un grande Paese, solido dal punto di vista delle imprese e del contributo complessivo agli scambi internazionali: un Paese che è diverso dagli altri, fatto da un mosaico di tante articolate realtà imprenditoriali e di persone che nel lavoro e sui territori esprimono una forza competitiva che va ben oltre il trito dibattito (pur di rilievo) sulla crescita della produttività.

La forza del Made in Italy è appunto nella sua diversità, perché la globalizzazione non è un fenomeno che uniforma tutti, ma anzi valorizza le specializzazioni e la capacità creativa e innovativa.

I dati ci danno ragione: l’Italia è uno dei cinque paesi al mondo che ha un surplus manifatturiero superiore ai 100 miliardi di dollari… e quando questa posizione si conferma negli anni dimostra una stabilità oramai acquisita. Del resto il nostro ritmo di crescita delle esportazioni è sostanzialmente analogo a quello della Germania.

Siamo sul podio della leadership mondiale (primo, secondo o terzo posto) per saldo commerciale con l’estero con 905 prodotti su 5200 censiti a livello internazionale.

Un paese fatto di imprese diffuse che esportano già molto e che potrebbero ancora crescere sia nei nostri distretti produttivi che fuori: con 195 mila aziende esportatrici (che producono circa il 45 per cento del valore aggiunto totale del sistema produttivo) siamo secondi in Europa dopo la Germania, ma diveniamo primi per numerosità di micro imprese che vendono all’estero.

E se guardiamo alle piccole imprese (tra 10 e 49 occupati) addirittura siamo i campioni del mondo con quasi 34 mila aziende precediamo sia Stati Uniti che Germania.

=> L'eccellenza sostenibile del Made in Italy in 10 selfie

Ma potremmo ancora andare oltre, parlando delle eccellenze che riguardano la nostra forza culturale (primo paese al Mondo per siti culturali riconosciuti Unesco), per continuare con i primati ambientali dove il rispetto dell’ambiente si trasforma in opportunità anche nel campo del business: 350 mila imprese italiane hanno scommesso negli ultimi 5 anni sulla green economy e già oggi possiamo vantare la terza posizione in Europa per eco sostenibilità in agricoltura, facendo molto meglio di Francia, Spagna e Germania, con una leadership nel campo dell’economia circolare, secondi solo al Regno Unito in Europa per utilizzo efficiente delle materie prime.

La green economy è una sorta di ponte tra innovazione e responsabilità sociale di impresa: gli investimenti nella sostenibilità ambientale richiedono applicazione di tecnologie digitali legate anche ad un uso strategico di dati e informazioni (es big data and analytics, ecc.), ma sono spinti a monte dalla volontà dell’impresa di adottare comportamenti socialmente responsabili contribuendo alla coesione sociale dei territori. Essere più attenti agli aspetti sociali e ambientali in impresa ne migliora le performance!

Tradizionalmente descritti dalla “saggezza convenzionale” come indietro in tutti i campi dell’innovazione in molti settori smentiamo questa affermazione: le spese di ricerca e sviluppo dei principali settori del made in Italy (moda e arredo) ci pongono al primo posto con quasi 700 milioni nell’ultimo anno, con un trend in crescita a partire dal 2013. Nella meccanica siamo secondi solo alla Germania!

C’è quindi un mondo di imprese che innova, lavora e dimostra fiducia. Con oltre sei milioni di aziende siamo al primo posto in Europa.

In più abbiamo potenzialità ancora inespresse che possiamo sprigionare per dare una spinta decisiva alla crescita del PIL: in una fase in cui sarà ancora la componente estera a trainare lo sviluppo ci sono oltre 46 mila imprese potenzialmente esportatrici, che se riuscissero a diventare stabilmente esportatrici, porterebbero un aumento dell’export di quasi 26 miliardi , circa il 6 per cento di quello attuale.

E’ qui che probabilmente risiede un ulteriore aspetto di diversità vincente del made in Italy: la capacità di tenere insieme imprese, fattori territoriali e sociali attraverso lo sviluppo sempre più forte di un sistema di relazioni: sono quelle aziende che Fondazione Symbola e Unioncamere hanno chiamato “imprese coesive” perché considerano una sfida costruire ed alimentare legami produttivi e sociali delle comunità, facendo network a livello locale, ma anche globale e manifestando anche una maggiore capacità creativa nei prodotti e nelle soluzioni di business.

Certo ci sono tanti fattori di appesantimento di questa situazione, quelle “diseconomie esterne” (infrastrutture, e burocrazia in primo luogo) che finiscono per pesare sulla produttività complessiva del sistema e ne spiegano in buona parte la difficoltà a competere veramente ad armi pari con la concorrenza mondiale, traducendosi – sotto molti versi –  anche in performances deludenti sul versante della crescita del prodotto.

Ciò nonostante dobbiamo riconoscere che ancora oggi, e nonostante tanti detrattori, il modo di fare impresa italiana nel mondo, basato su di un mix di fattori territoriali, umani e globali, rappresenti un modello di successo, espressione di una forma di globalizzazione che abbia un volto … un volto umano! Molto distante dal quella delle multinazionali mondiali che invece sono senza un territorio, senza una appartenenza e soprattutto… senza un volto!

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Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. È autore di numerosi saggi sui temi che riguardano i regimi capitalistici, l’economia finanziaria e dello sviluppo, l’economia industriale, l’analisi economico-territoriale e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Già direttore dell’Area Studi e ricerche dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, componente dell’Unità di valutazione degli investimenti pubblici e docente di Economia applicata in diversi Atenei, attualmente insegna presso l’Università telematica Universitas mercatorum ed è Segretario Generale di Assocamerestero (l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero).

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