Non è più obbligatorio rendere pubblici online i dati su reddito e patrimonio dei dirigenti della Pubblica Amministrazione, fatta eccezione per coloro che ricoprono ruoli apicali. La Corte Costituzionale, infatti, reputa illegittimo quanto previsto dal Dlgs n.33/2013 (modificato dal Dlgs 97/2016 su FOIA e Trasparenza), ritenendo non valido l’obbligo di pubblicazione generalizzato.
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La pubblicazione online riguarda i compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi, ma anche da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, così come sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società.
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La Corte Costituzionale, quindi, ha limitato la diffusione delle informazioni attraverso i siti istituzionali e il trattamento che prevede l’indicizzazione, la rintracciabilità attraverso i motori di ricerca e lo stesso utilizzo dei dati. A essere contestato, ritenendolo irragionevole, è il:
bilanciamento operato dalla legge tra due diritti: quello alla riservatezza dei dati personali, inteso come diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona, e quello dei cittadini al libero accesso ai dati e alle informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
Secondo i giudici, l’estensione dell’obbligo di pubblicazione alla totalità dei circa 140mila dirigenti pubblici ha violato il principio di proporzionalità, norma fondamentale per la garanzia dei dati personali e messa nero su bianco dall’Articolo 3 della Costituzione.
Pur riconoscendo che gli obblighi in questione sono funzionali all’obiettivo della trasparenza, e in particolare alla lotta alla corruzione nella Pubblica amministrazione, la Corte ha infatti ritenuto che tra le diverse misure appropriate non è stata prescelta, come richiesto dal principio di proporzionalità, quella che meno sacrifica i diritti a confronto.