Che la stampa in corso delle tessere per il reddito di cittadinanza fosse una bufala era evidente. Nessuno sta stampando niente. Anche perché, per erogare i 780 euro (i parametri sono tutti ancora da stabilire) potrebbero essere utilizzate le vecchie social card (due milioni) già stampate in epoca Berlusconi – Tremonti. Negli anni, infatti, sono state sfruttate anche dai governi Letta e Gentiloni per i diversi strumenti di sostegno via via introdotti, da ultimo il ReI (Reddito di Inclusione). Insomma, si tratta delle carte blu e celesti con bandierina tricolore prodotte da Mastercard e Poste Italiane, dalle sembianze e dal funzionamento di una carta di debito, probabilmente collegata al circuito Bancomat: il contratto sottoscritto nel 2008 fra le due aziende e i ministeri del Lavoro e dell’Economia non è mai stato chiuso.
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A questo, probabilmente, si deve la brillantezza di Luigi Di Maio e della sottosegretaria all’Economia Laura Castelli sul tema, salvo poi rifugiarsi in mugugni, imbarazzi e scivolose rispostine: per tagliare i tempi – e gabbare le regole europee che prevedono un bando di gara continentale per gli appalti sopra i 200mila euro – basterebbe riallacciarsi all’eredità dei precedenti governi. Sebbene, stando alle stime del vicepremier, di carte ne servirebbero 5-6 milioni. Quindi bisognerebbe ricominciare a produrne a tamburo battente e a partire da oggi, per arrivare puntuali ai primi mesi dell’anno prossimo.
Dunque il primo punto è chiaro: Di Maio ha detto una cosa non vera. Ha lanciato la card oltre l’ostacolo. Un mandato c’è stato, sì, come ha certificato anche il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico in diretta Facebook (e come sennò?): è stato dato ai suoi uffici e a Poste per discutere informalmente del piano. Ancora prima che esista un qualche dispositivo di legge (disegno di legge collegato o decreto-legge) che dettagli il funzionamento del reddito, ammesso che non occorrano anche ulteriori decreti ministeriali. Se questa indicazione è legittima, disegnare uno scenario in cui le macchine lavorano a pieno ritmo sputando tessere belle cariche di quattrini non è il massimo della correttezza. Specialmente se sei al governo, fai da sempre della trasparenza uno tuo cavallo di battaglia e lasci due parlamentari del Pd – che hanno presentato una richiesta di accesso agli atti – alla porta per ore.
Secondo punto: dunque nessun mandato, perché non poteva esserci, a muovere con ulteriori stampe nel perimetro del contratto già in essere – quello reso possibile dalla legge 133 del 6 agosto 2008 – né alcun nuovo bando di gara o assegnazione diretta perché manca il quadro legislativo e non sarebbe neanche possibile, in base alle norme comunitarie.
Dunque per una settimana ha tenuto banco una bufala bella e buona. Un modo, evidentemente, per prendere tempo.
Per tenere lontane le domande che stanno al cuore del funzionamento del reddito di cittadinanza. Proviamo a metterle in fila. Dobbiamo ancora sapere:
- a quanto ammonterà davvero,
- quali saranno i coefficienti famigliari,
- se conterà o meno la casa di proprietà e in che misura,
- quali beni ci si potranno acquistare (si ricordi la polemica sugli “acquisti immorali”)
- come sarà suddiviso il Paese in chiave di proposta delle offerte di lavoro,
- dopo quanti rifiuti salterà il reddito,
- quali saranno le sanzioni per gli abusi
- quali i meccanismi di controllo nel Paese dei falsi invalidi e del lavoro in nero
Per il momento è tutto troppo semplice: vai sul sito e con tre clic ti arriva la tessera, dicono dal governo.
Non solo. Rimangono appese mille altre spinose questioni che in queste settimane in pochi stanno toccando ma che stanno anch’esse al centro di una simile, monumentale operazione.
- Davvero si potrà fare affidamento sui centri per l’impiego?
- E il miliardo di euro stanziato per farli funzionare davvero, visto che al momento impiegano solo chi ci lavora, come e quando sarà speso? Basteranno nuove assunzioni o non occorrerebbe una profonda riqualificazione formativa visto che a ciascun beneficiario dovrà essere affiancato un “tutor”?
- I sistemi informatici sono pronti, le banche dati si parlano, l’Inps sa cosa fanno le Poste, Mastercard e le centinaia di uffici di collocamento (556 con 8mila dipendenti) in tutta Italia?
Insomma, l’impressione è che l’ennesima, sgangherata accelerazione – quella sui sei milioni di tessere in stampa – non sia stato altro che un modo per alzare il fumo su una misura per la quale ci sono, forse, un po’ di soldi (9 miliardi, insufficienti per una sua completa applicazione) ma la cui progettazione è ancora in alto mare e promette di sfornare pasticci a non finire. E potenziali ingiustizie sociali.