Diffuso in questi giorni, l’annuale Rapporto Istat analizza come di consueto lo scenario nazionale – alla luce dei dati statistici – in tema di economia e produttività, lavoro e redditività del Paese.
Tra i temi caldi dell’indagine congiunturale giunta alla sua 16a edizione, spiccano quest’anno le retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente, che essendo fortemente rallentate pongono la questione salariale all’attenzione di tutti gli attori coinvolti, istituzionali e imprenditoriali.
Questo, in contrapposizione con i costi del lavoro dipendente che nel 2007 hanno mostrato un andamento moderato.
D’altra parte le aziende hanno beneficiato di un piccolo rialzo della produttività del lavoro anche se, data la modestia dell’incremento, la competitività complessiva è rimasta stabile, se non peggiorata, rispetto agli altri paesi europei.
Tuttavia, le imprese italiane mantengono una redditività fra le più alte d’Europa.
Il segmento di imprese dal comportamento più virtuoso (con produttività
e redditività superiori alla media) è pari al 22% del totale.
In particolare alcune di loro, quelle che sono riuscite ad attuare il trasferimento strategico di funzioni aziendali in paesi che offrono condizioni più favorevoli, hanno un beneficio più consistente.
L’internazionalizzazione produttiva è però una caratteristica che copre ancora circa la metà delle grandi imprese italiane, lasciando solo un piccolo margine alle Pmi, che solo da poco stanno scoprendo i percorsi preferenziali ad esse riservate per questa specifica opportunità.
In termini territoriali, emergono ancora forti disparità fra Centro-Nord e Mezzogiorno e tale situazione non può che condizionare il mercato del lavoro e di conseguenza le condizioni economiche delle famiglie e i consumi. Le differenze più sostanziali sono principalmente dovute al rallentamento della domanda di lavoro e alle minori opportunità di occupazione stabile e soddisfacente.
Un’ultima grande carenza si evidenzia in termini di formazione professionale, nella quale le aziende non investono e quindi non colgono l’opportunità e il beneficio della qualificazione del personale.
In questa speciale classifica, che ha necessariamente delle ripercussioni sui prodotti e sui servizi, l’Italia si colloca al terzultimo posto in Europa seguita da Bulgaria e Grecia, con solo il 32% delle imprese realmente attive.