Da qualche anno si sente parlare di open innovation anche in Italia, ovvero di un modello di business aperto per innovare con competenze e conoscenze esterne alla propria azienda. Senza addentarci nella teoria, visto che abbonda la letteratura che spiega il paradigma, proviamo a focalizzarci su come la sua applicazione possa trasformarsi in uno strumento di accelerazione per la propria impresa.
Se si parte dalla considerazione che in genere ci sono tre fattori cruciali e critici nello sviluppo di un progetto innovativo in un’azienda – tempo, costi e risorse (= persone) – possiamo provare a darvi un senso in un contesto dove si decida di adottare un approccio aperto all’innovazione.
Tempo
Il tempo manca sempre. Sono famose le vignette che circolano sui social media dove si vede l’innovatore che propone un qualcosa di nuovo, e gli viene risposto “non abbiamo tempo, siamo troppo impegnati”. Scherzi a parte, questo è quello che succede in molte realtà. I team di progetto sono talmente focalizzati sul loro lavoro, e oberati di cose da fare, che non hanno neanche il tempo di sedersi a pensare se una nuova tecnologia, o una startup possa rappresentare un’opportunità per l’azienda o meno. L’approccio “open” prevede che guardando all’esterno dell’azienda si possa trovare esattamente, o quasi, ciò che si stava cercando.
Facciamo un esempio. Prendiamo un’azienda ICS ed il suo problema, ovvero che uno dei loro prodotti si usura molto facilmente a causa del materiale di cui è costituito. L’azienda ICS ha quindi un problema da risolvere e avvia un progetto di ricerca interno per trovare delle soluzioni. Si parte dall’analisi del materiale, si cerca un nuovo materiale, si sentono nuovi fornitori, si acquista il materiale, e così via fino a ripetuti test sul potenziale nuovo prodotto. Sempre parlando ipoteticamente, ma non troppo, questa soluzione richiede un tempo di sviluppo di dodici mesi per arrivare ad una soluzione soddisfacente.
Immaginiamo, ora, che l’azienda ICS vada a cercare la soluzione esternamente. Durante le ricerche si imbatte in un’altra azienda, ZETA, che opera in un settore completamente diverso, ma che ha affrontato un problema simile con lo stesso materiale. In questo caso, potrebbe essere verosimile che l’azienda ZETA abbia una soluzione, già testata e quindi facilmente utilizzabile nel contesto industriale dell’azienda ICS. Le aziende ICS e ZETA iniziano a parlarsi, scoprono che il problema è molto simile, e attivano una collaborazione per verificare che la soluzione proposta sia adatta a risolvere anche il problema di ICS. Il progetto richiede solo quattro mesi di lavoro, poiché il materiale nuovo lo si conosce, si stampa, si testa e si valida il prodotto finale. Questo approccio open ha ridotto notevolmente i tempi di realizzazione, e soprattutto ha aiutato l’azienda ICS a non “creare” una competenza da zero, ma di acquisirne una attingendola direttamente dall’esterno.
Costi
Il tempo è denaro, ed ecco come tempi e costi sono correlati. Infatti i costi di realizzazione di un progetto potrebbero essere direttamente proporzionali al tempo speso dalle risorse interne nel realizzare la soluzione.
Prendiamo ancora l’esempio dell’azienda ICS. Immaginiamo un caso estremo, ma non poi così inverosimile. Il costo della realizzazione della soluzione con l’azienda ZETA, che ricordiamo è stato di quattro mesi, è doppio se confrontato con il costo del progetto interno con le stesse tempistiche. Per capirci con dei numeri: il costo del progetto interno (12 mesi) è in totale di 150.000 € (quindi più o meno 12.500 €/mese); mentre supponiamo che il costo del progetto con l’azienda ZETA (4 mesi) sia pari a 100.000 €. La matematica ci dice che comunque l’azienda ICS ha risparmiato ben 50.000 €, avendo una soluzione praticamente chiavi in mano. Mettendo i numeri forse risulta più evidente il risparmio, ma quello che è meno evidente è il fatto che l’azienda ICS sia riuscita ad ottenere non solo la soluzione al problema, ma anche tutto il know-how e la conoscenza relativa al nuovo materiale, così come trasferite dall’azienda ZETA. Questo secondo aspetto, certamente più intangibile, ha comunque creato un asset interno, una nuova conoscenza, che altrimenti l’azienda avrebbe dovuto crearsi da se, introducendo magari una nuova figura professionale, un nuovo macchinario per i test, e altre spese che spesso poi sfuggono al controllo di gestione del progetto.
Quindi al risparmio in termini di costi, va anche aggiunto il risparmio in termini di acquisizione del know-how necessario a lavorare il nuovo materiale, a implementarlo nel processo produttivo, e ovviamente alla validazione nel nuovo prodotto.
Per darvi un caso concreto, visto che fino ad ora abbiamo parlato per ipotesi: in un’azienda con la quale ho avuto il piacere di collaborare in passato, un giorno abbiamo provato a fare una stima del costo e delle tempistiche di un lavoro fatto tutto internamente e confrontarlo con un preventivo proposto da un’azienda esterna che si sarebbe fatta carico dello stesso lavoro. Il risultato è stato un potenziale risparmio in costi di circa il 30% se si fosse optato per la soluzione fornita dall’esterno.
Risorse
In genere si dice che l’innovazione parte dalle persone, oppure che le aziende sono fatte di persone che generano processi virtuosi che mettono in moto l’innovazione. Quindi quando si parla di risorse pensando alle persone, si prenda come “evangelica” la famosa frase di Bill Joy, che diceva:
[…] la maggior parte delle persone più brillanti lavorano per qualcun altro. (t.d.r.)
Questa affermazione, certamente molto forte, trova fondamento nel fatto che molte aziende non possono pensare di avere tutte le competenze internamente, ma spesso si devono avvalere di nuove competenze, o di nuovo know-how, prendendoli all’esterno delle proprie quattro mura.
Quando ho iniziato ad occuparmi di open innovation, uno dei primi casi studio che mi sono capitati sotto mano è stato quella della P&G, una tra le prime aziende ad adottare un approccio open. Riporto di seguito la frase che mi ha colpito allora:
[…] c’erano 200 scienziati o ingegneri da qualche altra parte del mondo (quindi un totale di 1.5 milioni di persone) che erano tanto esperti quanto i ricercatori di P&G. (t.d.r.)
Questo estratto dall’articolo “An Example of Open Innovation: P&G” di Nesli Nazik Ozkan pubblicato su Elsevier, ci fa chiaramente capire che l’azienda aveva calcolato che c’erano circa un milione e mezzo di scienziati e ingegneri che erano altrettanto bravi quanto le loro risorse interne di 200 ricercatori. Questo significa che attingendo nuove idee all’esterno della propria azienda, si poteva moltiplicare di sette volte e mezzo il potenziale innovativo e tecnico-scientifico che sarebbe potuto scaturire da tutti i loro ricercatori interni.
Se ci riflettiamo un attimo, è ovvio che stiamo parlando di numeri impressionanti, ma è altrettanto ovvio che qualsiasi azienda può attingere da un vasto numero di esperti, competenze e conoscenze che si trova al di fuori della propria azienda. Questa pratica specifica si chiama “crowdsourcing”, ma non vorrei entrare nel dettaglio poiché mi interessa fare il punto sulle risorse.
Ritorniamo sempre all’esempio dell’azienda ICS che ha utilizzato l’open innovation. In questo caso specifico l’azienda ICS, abbiamo già anticipato, ha potuto attingere a tutto il know-how sviluppato dall’azienda ZETA e a diverse loro risorse interne per sviluppare in tempi brevi, e con un’ottimizzazione dei costi, la soluzione ideale al loro problema. In questo caso, oltre all’implementazione della soluzione, si è potuto anche trasferire del know-how, visto che comunque nell’azienda ICS delle risorse sono state impegnate per seguire il progetto e affiancare i tecnici dell’azienda ZETA. In questo modo anche le competenze sono state trasferite, e con un ulteriore guadagno in termini di conoscenza. Pertanto le risorse si sono arricchite di nuove competenze, si sono “moltiplicate” poiché ci si è avvalsi delle risorse dell’azienda ZETA, e quindi collaborativamente si è giunti alla soluzione specifica per l’azienda ICS. In questo ritroviamo appunto il caso suddetto di P&G. Non stiamo parlando di milioni di persone, ma certamente la ICS ha potuto sfruttare sette o otto menti brillanti per lavorare sul proprio problema, anziché le due o tre che aveva internamente.
Concludendo, mi sembra che sia abbastanza ovvio come adottare un approccio open e collaborativo, permetta di ridurre i tempi, ottimizzare i costi, e aumentare il numero di menti brillanti da sfruttare. Quindi facendo due più due, approcciando in maniera aperta l’innovazione inevitabilmente riusciamo a dare un notevole impulso allo sviluppo di soluzioni, nuovi prodotti, nuovi servizi, e alla creazione di nuove competenze in azienda, e questa è pura accelerazione di impresa.
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*articolo di Adriano La Vopa, fondatore di Smartangle (www.smartangle.it), è esperto di innovation management e processi aziendali per l’innovazione, di open innovation e trasformazione strategica.