Nulla si crea, nulla si distrugge. Lo aveva già capito il chimico francese de Lavoisier alla fine del ‘700 enunciando la prima versione della legge di conservazione della massa. Ora questo principio è stato traslato al mondo degli affari facendo nascere il concetto dell’economia circolare.
In base alla definizione contenuta nelle linee guida della Commissione Ue, l’economia circolare è un sistema “in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo”. Non si tratta, come si potrebbe essere portati a ritenere, solo di un nuovo modello di sviluppo che trova il suo valore nella sostenibilità ma di una vera e propria occasione di business.
“Darà impulso – proseguono le linee guida – alla competitività dell’Unione europea mettendo al riparo le imprese dalla scarsità delle risorse e dalla volatilità dei prezzi e contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modi di produzione e consumo innovativi e più efficienti”.
“Per le imprese – spiega Claudio Zara, sda professor all’università Bocconi – è un nuovo paradigma economico e in prospettiva ritengo che diventerà dominante, andando a sostituire l’economia lineare. Io non adotto un modello circolare per diventare più bravo e più buono, lo faccio perché ritengo che sia vincente nel lungo periodo”.
La commissione Ue ha calcolato che l’economia circolare riguarda il 48% della generazione di Pil degli stati membri, percentuale che sale al 60% se sommiamo il settore dell’energia.
E questo è solo l’effetto diretto. Si può poi considerare l’indotto. Ad esempio, una software house non viene impattata direttamente dall’economia circolare ma può generare prodotti strumentali alla gestione di questo modello.
In base alle considerazioni appena esposte, l’economia circolare rappresenta anche una nuova sfida per la finanza, che già oggi offre prodotti ad hoc, ma che deve andare oltre, individuando una nuova metrica, come successo ad esempio nel caso dei criteri Esg (environment, social, governance, ovvero ambiente, politiche sociali e di gestione), che riesca a “valutare” tutte le componenti dell’economia circolare.
Valori finanziari per l’economia circolare
“Se riconosciamo di essere davanti a un nuovo paradigma di business – riprende Zara – dobbiamo fare anche il passo successivo, trasferendolo nella finanza. E non solo con prodotti specifici di asset management, ma studiando un sistema che individui asset di tipo circolare”.
La finanza per l’economia circolare non si limita alla creazione di fondi specifici, ma all’individuazione di una diversa metrica, che si possa applicare ad altre attività. In primis, ai prestiti delle banche. “E qui siamo in un campo in cui il tema del riconoscimento formale della circolarità è ancora poco affrontato, direi che siamo proprio all’inizio”. La metrica impatta su tre valori finanziari fondamentali, riassumibili nella formula delle 3R: risk, revenue, reputation, ovvero rischio, ricavi, reputazione.
La prima R, legata al concetto di rischio, in realtà rappresenta un derisking, ovvero “un disaccoppiamento fra il rischio legato alla specifica attività e il rischio sistematico. Perché questo avviene?
Se ad esempio sono un’impresa che nel ciclo della produzione utilizza una materia plastica, fino ad oggi dovevo partire da un polimero come il petrolio.
Nel momento in cui disaccoppio questa associazione con il petrolio, e utilizzo una plastica che deriva dal recupero di altre plastiche già nel ciclo, oppure sostituisco una plastica convenzionale con una bioplastica, riesco a ottenere un disaccoppiamento dal rischio del petrolio. Quindi, sono meno esposto alle fluttuazioni del prezzo del petrolio”.
Per quanto riguarda i ricavi, prosegue Zara, “questi asset portano un beneficio in termini di generazione di combinazione rischio-rendimento, o rischio-ricavo, diversa rispetto all’economia lineare. Generano asset meno rischiosi in assoluto, ma soprattutto se li inseriamo nel portafoglio dell’investitore diversificato.
Pensiamo alle banche: a fronte di un’economia volatile, inserire asset meno connessi al rischio sistemico dell’economia, significa ottenere vantaggi”. Non solo: stiamo anche parlando di un settore destinato ad attirare sempre maggiori investimenti: “Le analisi Ue e le società di consulenza che analizzano i dati mostrano che in Italia è prevista entro i prossimi dieci anni una spesa di 120 miliardi di nuovi investimenti nell’economia circolare. Un’occasione golosa per il sistema creditizio che da anni è alle prese, viceversa, con la perdita di valore di molti asset legati invece all’economia lineare e ai relativi rischi sistemici”.
La terza R, legata alla reputazione, è di immediata comprensione. Zara sottolinea come da questo punto di vista l’economia circolare possa rappresentare anche “una nuova opportunità che il sistema ha per riconnettersi all’economia reale”, lasciandosi alle spalle uno degli impatti più negativi della finanziarizzazione spinta dell’economia, che negli ultimi anni ha determinato una reputazione negativa verso il sistema finanziario.
Una maggior propensione anche del sistema finanziario e creditizio (quindi delle banche) a investire in strumenti che vanno incontro a criteri di sostenibilità, a scelte di consumo responsabile e a un settore che presenta le caratteristiche di stabilità sopra descritte ha un ritorno anche in termini di reputation.
Il sistema produttivo, per effettuare il passaggio dall’economia lineare a quella circolare, ha a sua volta bisogno di investimenti, non solo in termini di riorganizzazione del modello di business e del processo produttivo ma anche ad esempio sul fronte delle tecnologie. Qui il discorso si salda anche con le prospettive dell’Industria 4.0, la rivoluzione digitale del mondo produttivo. “Industria 4.0 è uno strumento per fare delle cose – spiega Zara -. Quando un’impresa introduce digitalizzazione e connessione, può farlo restando in un modello lineare, oppure modificando il processo di business per renderlo più sostenibile nel lungo periodo”.
In generale, in questa fase di transizione, c’è un ruolo importante dei policy maker, che va dalla decisione dell’Unione europea di mettere normative più severe sulle emissioni dei motori, all’inasprimento di quelle in materia di trattamento delle plastiche.
Sottolineiamo che sono appena entrate in vigore, all’inizio dello scorso luglio 2018, quattro direttive Ue che riguardano rifiuti elettronici, discariche, rifiuti, imballaggi. Si tratta dell’attuazione del Piano sull’economia circolare del 2015, che per il 2018 prevede la promozione delle migliori prassi nei piani di gestione dei rifiuti minerari, il potenziamento della base di conoscenze e il sostegno alle Pmi per la sostituzione delle sostanze pericolose nonché azioni per instaurare un quadro strategico più coerente dei diversi filoni di attività che, nell’ambito della politica in materia di prodotti, concorrono a realizzare l’economia circolare. Nell’ambito delle strategie italiane è da sottolineare la firma, lo scorso 31 maggio, della carta per l’adesione alla Piattaforma degli stakeholder per l’economia circolare (Italian circular economy stakeholder platform – Icesp) da parte del ministero dell’Ambiente, che si inserisce nell’ambito della più vasta piattaforma europea”.
Una sfida per le imprese
Per concludere, una nuova finanza per l’economia circolare può basarsi sugli elementi di maggior stabilità previsti dal nuovo paradigma, che riguarda l’intero sistema produttivo.
L’economia circolare, si legge ancora nelle linee guida europee, riguarda “ogni fase della catena del valore: produzione, consumo, riparazione e rigenerazione, gestione dei rifiuti e reimmissione nell’economia delle materie prime secondarie”.
“Non è solo un tema di cambiamento delle fonti di approvvigionamento – aggiunge Zara -. Pensiamo alle prospettive sul lungo periodo per gli operatori dei combustibili fossili, che hanno vita limitata, legata all’esaurimento delle risorse e a fattori di insostenibilità non solo ambientale. Hanno necessità di trasformarsi, sia sul fronte dell’approvvigionamento, puntando sulle energie rinnovabili, sia in termini di efficienza, migliorando lo sfruttamento delle risorse”. Dunque, un’occasione per l’intero sistema produttivo oltre che un’opportunità di lanciarsi in nuovi mercati per le nuove aziende.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di settembre del mensile Wall Street Italia