Non solo il presunto rischio di una nuova fase recessiva entro pochi anni – al termine di un decennio che ha visto la più grave crisi finanziaria internazionale dal dopoguerra – ma anche una valutazione critica delle politiche economiche perseguite, più favorevoli per i creditori che per i debitori. Secondo Rob Johnson e George Soros (Sole 24 Ore) questo avrebbe quindi contribuito «alla prolungata stagnazione successiva alla crisi».
Riuscire invece a riportare il valore dei mutui a prezzi di mercato, secondo i due esperti avrebbe provocato per azionisti e detentori del debito (maggior propensione al risparmio), «perdite maggiori di quelle in effetti sperimentate», ma «le famiglie a basso e medio reddito (maggior propensione al consumo) sarebbero state agevolate rispetto al loro debito ipotecario».
In pratica, lo spostamento dell’onere del risanamento:
avrebbe comportato perdite per i responsabili del disastro, avrebbe stimolato la domanda aggregata, e avrebbe diminuito le crescenti diseguaglianze che alimentavano la sfiducia nella stragrande maggioranza delle persone.
In pratica, la crisi economica è provocata da un disastro finanziario e la politiche di risanamento hanno comunque aiutato banche e istituzioni finanziarie che avevamo gestito male il rischio legato al mercato dei mutui, senza fare altrettanto con i piccoli risparmiatori. Tradotto: i Governi che hanno gestito i dieci anni di crisi seguiti al crack di Lehman Brothers hanno tutelato le banche invece delle famiglie che avevano i mutui.
L’analisi riguarda però il mercato e le politiche americane. Non l’Europa, che si trova in una situazione diversa, pur avendo a sua volta subito la crisi, compresa quella legata al salvataggio della Grecia. Anche in Europa, però,c’è un appuntamento elettorale alle porte, quello con le elezioni della prossima primavera. E i temi legati alla crescita e al futuro dell’euro, saranno con ogni probabilità al centro del dibattito.
La situazione, dal punto di vista economico, non è negativa: la crescita, secondo le stime della BCE, sarà al 2% nel 2018, all’1,9% l’anno prossime all’1,7% nel 2020. Insomma, la ripresa rallenta ma la recessione non sembra alle porte.
In vista, ci sono appuntamenti importanti, non solo sul fronte politico.
Nel 2019 terminerà il quantitative easing, gli acquisti della banca centrale europea sono già in fase discendente dall’inizio del 2018, in base alla exit strategy. Ma comunque – ha sottolineato Mario Draghi, il banchiere centrale europeo, nei giorni scorsi – la politica monetaria della Bce continuerà a stimolare l’economia europea.
Niente allarmi, insomma, Nemmeno sull’Italia, che pure è attesa all’appuntamento fondamentale con la legge di Bilancio. E dove le dichiarazioni di alcuni esponenti politici «hanno fatto danni, provocando un rialzo dei tassi d’interesse per famiglie e imprese».
Ma le dichiarazioni sono una cosa, i fatti un’altra. E in materia di politiche economiche il fatto più importante è la prossima legge di Bilancio. Che, indipendentemente dalle misure di riforma che vi saranno inserite, sarà in linea con i parametri comunitari.
In sostanza, in Europa le prospettive sono relativamente serene e la prossima campagna elettorale potrà offrire l’occasione per mettere in campo le proposte, anche politiche, per il futuro dell’euro.
Questo vale sia per i partiti cosiddetti “populisti”, come quelli dell’attuale maggioranza di Governo in Italia, sia per le forze politiche tradizionali, che hanno gestito gli anni di crisi, e che sono quindi protagoniste di quello scollamento con la politica che è un altro elemento in comune con gli alleati d’oltreoceano.