Le politiche fiscali ed economiche del presidente americano Donald Trump, la bassa crescita, i populismi in Europa: sono alcuni dei fattori che, secondo l’analisi degli economisti Nouriel Roubini e Brunello Rosa pubblicata su Project Syndacate, potrebbero portare a una nuova crisi finanziaria nel 2020, seguita da una recessione globale, paragonabile a quella iniziata dieci anni or sono con il fallimento di Lehman Brothers, che potrebbe portare «l’Italia e altri paesi a uscire dall’euro».
Attenzione: si tratta di un’analisi autorevole, anche in considerazione del fatto che Roubini è stato uno dei pochi ad aver previsto la crisi del 2008. Ma, a onor di cronaca, si potrebbe anche aggiungere che, nel 2011, aveva fatto previsioni altrettanto fosche sulla crisi dell’euro, schierandosi a favore dell’uscita della Grecia dalla moneta unica e allertando sul possibile fallimento della moneta unica.
In ogni caso, è bene sottolineare che siamo semplicemente di fronte a un’analisi, per di più fornita in un momento (il decennale dalla crisi di Lehamn) che vede un fiorire di studi e opinioni sulle cause e le conseguenze di quanto successo nel decennio appena trascorso. Insomma uno scenario economico, da tener presente per gli specifici elementi di riflessione che contiene, ma nient’altro che questo.
Fatta questa doverosa premessa, vediamo esattamente quali sono le dieci ragioni che potrebbero portare, nel giro di due anni, alla nuova crisi finanziaria globale.
I primi quattro elementi riguardano essenzialmente le politiche americane dell’amministrazione Trump: le politiche fiscali che attualmente sostengono la crescita a stelle e strisce sono insostenibili, in genere la politica economica di Trump provoca stagflazione (stagnazione e inflazione), per cui la Federal Reserve (la banca centrale americana) sarà portata ad alzare i tassi (previsto un 3,5% al 2020, dall’attuale 2%), con effetti negativi sugli investimenti in tutto il mondo, le politiche commerciali Usa (che contribuiscono a deprimere il ciclo economico), una serie di altre misure di politica economiche (scarso stimolo a investimenti e digitalizzazione, green economy, immigrazione).
Tutto questo, avrà ripercussioni negative sull’economia internazionale, che comunque vedrà un rallentamento. E siamo all’Europa, dove gli economisti vedono un rallentamento causato anche da politiche monetarie rigide, e ulteriori rischi che arrivano dai populismi.
Qui c’è un riferimento preciso all’Italia:
le politiche populiste in paesi come l’Italia potrebbero portare a dinamiche del debito insostenibili nell’Eurozona. L’irrisolto doom loop (rapporto negativo) fra governi e banche che detengono titoli di stato accentuerà il problema strutturale di un’unione monetaria incompleta, con un’inadeguata gestione del rischio. In queste condizioni, una nuova recessione globale potrebbe portare l’Italia e altri paesi a uscire dall’euro.
Come si vede, da una parte si presenta uno scenario catastrofico (l’uscita dell’Italia dall’euro, così come di altri paesi, sostanzialmente significherebbe la fine della moneta unica), dall’altra individua una serie di elementi (politiche monetarie, populismi) che sono al centro del dibattito europeo e che rappresentano in effetti le sfide fondamentali che l’Europa sta affrontando e deve continuare ad affrontare nei prossimi anni.
Infine, ci sono ragioni legati all’andamento dei mercati, soprattutto nei paesi emergenti, i rischi di illiquidità, l’inasprimento delle politiche di Trump in vista delle elezioni del 2020.
Conclusione: i policymaker di tutto il mondo avranno meno strumenti che nel 2008 per fronteggiare la recessione, che quindi rischierà di essere più severa e lunga della precedente. Staremo a vedere.