L’Unione Europea ha bocciato la norma che prevede l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione e/o di confezionamento dei prodotti alimentari, entrata però in vigore il 5 aprile e quindi oggetto di adeguamento da parte delle aziende. Eppure, sembra che il Governo italiano fosse a conoscenza della sospensione del giudizio UE sul d.lgs. 145/17, comunicata al ministro Alfano lo scorso gennaio.
Obbligo in vigore
Ora, le imprese che vendono in Italia alimenti preimballati realizzati e/o confezionati nella Penisola si sono dovute mettere in regola, ma tale vincolo non sussiste in Europa. Eppure, secondo il Ministero, il decreto italiano è in vigore e, essendosi opposto alla decisione UE, conta di risolvere in modo positivo la vicenda. Per ora, tuttavia, non può essere imposto alcun obbligo di indicazione dello stabilimento di produzione/confezionamento e non sono applicabili le sanzioni previste dal d.lgs. 145/17.
Bocciatura UE
Il Regolamento europeo 1169/2011, in vigore dal 2014, non solo non prevede l’obbligo ma ha addirittura abrogato il decreto 109/92 con il quale l’Italia l’aveva introdotto per la prima volta. Nonostante questo, l’Italia ha approvato il decreto che lo ha reintrodotto nonostante, purchè la norma sia valida, sia necessario il via libera dell’UE. Per ottenerlo l’Italia aveva presentato lo schema di decreto alla Commissione, che dopo aver raccolto le critiche degli altri Paesi Membri aveva però deciso di prorogare l’esame di altri tre mesi. A questo punto, il Governo aveva interrotto la procedura facendo partire una seconda notifica, ai sensi dell’articolo 114 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea sulle leggi già esistenti che il Paese Membro chiede di mantenere in vigore.
In sostanza l’Italia si è comportata come se l’obbligo non fosse mai stato abrogato e quindi come se il d.lgs. 145/17 fosse identico alla vecchia legge, ma così non è.
I costi per le aziende
Insomma, un pasticcio all’italiana che è costato alle oltre 60mila industrie della trasformazione alimentare italiane milioni di euro investiti per la revisione e ristampa delle nuove etichette, nonché per la destinazione a rifiuto di quelle non conformi. Ovviamente le imprese ora non dovranno ricominciare tutto da capo, poiché tale indicazione può comunque essere mantenuta su base volontaria, come sarebbe raccomandabile per dare ai prodotti il valore aggiunto che solo il Made in Italy può dare. Tuttavia, questo pasticcio rischia di creare disparità tra le aziende che si sono prontamente adeguate e quelle che non lo avevano ancora fatto (e che non verranno multate), oltre a quelle con le aziende che producono alimenti all’estero e non erano state coinvolte dal presunto obbligo.
Voci in etichetta
Va infine sottolineato che la legge italiana, così come formulata nel d.lgs. 145/17, prevederebbe la possibilità di indicare il solo luogo di confezionamento, se diverso da quello di produzione. Questo significa che se l’azienda produce il prodotto all’estero ma lo confeziona in Italia può omettere di dare informazione ai consumatori circa la provenienza reale di quell’alimento.